Siamo onesti. Fino a un paio di anni fa nessuno aveva mai usato le parole lockdown, dad, infodemia. Ma probabilmente nemmeno smart working, rider o termoscanner. Cambia il mondo, ci si aggiorna. E cambia anche il modo di comunicare e inevitabilmente anche la lingua. Ma adesso la Treccani, punto di riferimento per l'italico verbo, va oltre. Ecco arrivare anche la svolta inclusiva che sdogana nuovi termini al femminile finora utilizzati un po' come capitava. Ecco dunque, tra le altre cose, l'architetta, la notaia, la medica (ma dottoressa no?) e la soldata. Se ne sentiva il bisogno? Chissà. Fatto sta che quando arriva un cambiamento, va da sé, che arrivino anche risentimenti e polemiche.
Per il celebre Istituto della Enciclopedia Italiana c'era «la necessità e l'urgenza di un cambiamento che promuova l'inclusività e la parità di genere, a partire dalla lingua». Non solo nuovi vocaboli finora inutilizzati. Le parole che troveremo sul vocabolario cambieranno anche formalmente. Comuni aggettivi come «bello» o «simpatico» saranno lemmatizzati, ovvero visualizzati anche nella loro versione femminile, seguendo l'ordine alfabetico. Esempio: cerco «bello»? Troverò prima «bella» e poi «bello» con definizioni al seguito. Non solo. Con l'intento di eliminare gli stereotipi di genere, come i vecchi assunti per cui a cucinare o a stirare è sempre la donna mentre a guidare un'azienda è invece puntualmente l'uomo, ecco arrivare nuovi esempi che contestualizzano in maniera differente ogni attività pratica o modi di dire per non offendere nessuno. E nessuna. Si tratta di una svolta vera perché, piaccia o meno, si tratta del primo vocabolario che sceglie di non presentare le sue voci soltanto con il genere maschile.
Per il dizionario, diretto dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, la novità non è altro che «lo specchio del mondo che cambia e il frutto della necessità di validare e dare dignità a una nuova visione della società, che passa inevitabilmente attraverso un nuovo e diverso utilizzo delle parole». Il che significa anche andare oltre un linguaggio troppo formale e per larghi tratti desueto. Tra le novità, anche l'eliminazione quasi totale delle abbreviazioni, che secondo i linguisti nessuno legge mai a dovere portando quindi a reinterpretazioni fantasiose. Cancellati anche i «cortocircuiti lessicografici», che di fatto obbligavano a passare da una voce all'altra senza arrivare a una conclusione chiara: adesso spiegazioni semplici e autosufficienti. Riscritte tutte le voci grammaticali, ricordando che la norma non è stabilita una volta per sempre ma viene rimessa in discussione a seconda dell'uso con tanto di note evidenziate per risolvere quanto più possibile i dubbi grammaticali di ogni parola che può risultare controversa, per esempio per quanto riguarda l'utilizzo dell'articolo o alla forma plurale. Anche in questo caso, esempi semplici e chiari, con molto meno spazio a espressioni formali di conseguenza poco usate nel parlato di tutti i giorni.
«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», diceva lo scienziato settecentesco Antoine-Laurent de Lavoisier. Anche la lingua italiana, evidentemente, non fa eccezione. Tutto starà ad abituarsi.
Magari non sarà così easy ma forse sarà cool chiamare l'architetta per ridisegnare una stanza da adibire a smart working proprio come durante il lockdown, o a ufficio riservato per la medica. O forse è solo l'ennesima stortura del politically correct. Che una volta chiamavamo politicamente corretto. E si capiva uguale.
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