Sorpresa: i soldi non garantiscono voti. I ricchi Dem verso la disfatta al midterm

I candidati di sinistra macinano record di finanziamenti ma nelle sfide chiave potrebbe non servire. Come spesso accaduto

Sorpresa: i soldi non garantiscono voti. I ricchi Dem verso la disfatta al midterm

Casse piene e urne vuote. Potrebbe essere questo il destino per il partito democratico alle elezioni di metà mandato dell'8 novembre. I candidati della sinistra continuano a macinare record nelle donazioni, ma difficilmente questi numeri potranno essere convertiti in voti.

Uno degli scontri chiave per Congresso e Senato si giocherà in Pennsylvania dove si sfidano due personaggi singolari, il democratico John Fetterman, un colosso di 2 metri con posizioni liberal, e il repubblicano Mehmet Oz, chirurgo e personaggio tv. Fetterman nel 2022 ha raccolto 26 milioni di dollari contro i 18 di Oz.

In Ohio, il dem Tim Ryan ne ha raccolti 21 in sei mesi, 17 in più dell'avversario J.D. Vance, autore del best seller Elegia Americana. A Sud la sinistra è andata anche meglio: il senatore uscente dell'Arizona Mark Kelly ha raccolto 52 milioni mentre in Georgia Raphael Warnock ne ha racimolati 60. Persino la corsa dei governatori va nella stessa direzione. In Texas, che i dem tentano di espugnare da anni, l'astro nascente della sinistra Beto O'Rourke ha raccolto 27,6 milioni, 2 in più del governatore Greg Abbott.

Milioni di dollari per spingere gli elettori alle urne. Eppure potrebbe essere un esercizio del tutto vano. Per averne un'idea basta guardare al 2020. Mentre Joe Biden batteva Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, altri democratici cedevano il passo ai repubblicani. In Sud Carolina il partito dell'asinello spese 130 milioni per defenestrare il falco Lindsey Graham che però vinse con il 54% dei voti. In Kentucky 90 milioni non bastarono a sconfiggere Mitch McConnell.

Per una politica in cui gli spot, i comizi e le campagne porta a porta richiedono montagne di denaro sembra paradossale. E questo per un paio di ragioni. La prima è che secondo gli analisti i rendimenti in termini di soldi investiti e voti ottenuti diminuiscono all'aumentare della spesa. La seconda riguarda la provenienza dei soldi. In molti casi le grandi organizzazioni di raccolta fondi, i cosiddetti Pac inviano denaro in tutti gli Usa.

Stando alle rilevazioni della Commissione elettorale anche in questa tornata crescono le quote di soldi che arrivano fuori dagli Stati in cui è in corso la campagna.

Nel 2020 grandi donatori liberal della California e di New York pomparono soldi in Georgia per aiutare a vincere i dem. Ma non sempre la magia funziona. In Stati conservatori è difficile che i soldi spostino così tanti voti. Peculiare il caso del Wyoming dove Liz Cheney si gioca la rielezione. La figlia dell'ex vice presidente, che votò l'impeachment contro Trump e che fa parte della Commissione che indaga sull'assalto di Capitol Hill, è indietro nei sondaggi. Eppure il suo portafoglio è ricco con donatori da Texas, California, Virginia, persino New York.

Il voto resta comunque imprevedibile. Biden è in caduta libera. Allo stesso tempo il boom dell'inflazione richiamerà alle urne gli scontenti. I dem puntano ai microdonatori come segno di una base elettorale attiva, ma per loro si profila un mezzo disastro.

Secondo il modello previsionale di FiveThirtyEight alla Camera il Gop può aspirare alla maggioranza, mente il Senato dovrebbe

restare diviso a metà. Su tutto questo incombe l'incognita aborto, ma soprattutto l'effetto del raid Fbi contro Trump. Due temi enormi che possono galvanizzare gli elettori dei partiti e sparigliare le carte ancora una volta.

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