L'obiettivo del 2% del Pil per le spese militari va raggiunto entro il 2028: è il punto di caduta, ribattezzato «lodo Guerini», che sblocca lo stallo in maggioranza alla vigilia del voto in Senato al decreto Ucraina. Il M5s, che minacciava la crisi di governo, chiede fino all'ultimo di allungare (per raggiungere il 2% del Pil) al 2030. Il premier Mario Draghi, infastidito dalle minacce di Conte, puntava al 2% entro il 2024.
Il compromesso passa dalla mediazione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sentinella del Quirinale nel governo, che traccia la road map: «Dal 2019 ad oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell'Unione europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell'obiettivo del 2%», annuncia il ministro.
Strada che allontana lo scenario di un braccio di ferro in una maggioranza in pieno conflitto. Il commento del M5s: «Fino a ieri ci davano degli irresponsabili perché chiedevamo di far slittare il termine per il raggiungimento del 2% nel 2024. Guerini sposta questo obiettivo al 2028, che è un buon passo verso quella sostenibilità e gradualità, da noi sempre richiesta».
Oggi il Senato sarà chiamato a dare il via libera al decreto Ucraina su cui l'esecutivo ha posto la fiducia. I voti ballerini potrebbero essere un centinaio. I riflettori sono puntati sul M5s. Ma anche tra i senatori di Leu i mal di pancia non vanno via: «Le risorse oggi vanno allocate sulle rinnovabili, non sulle spese militari» avverte la capogruppo Loredana De Petris.
La giornata di ieri era iniziata con le dichiarazioni di fuoco che arrivano dal fronte grillino. L'incontro Draghi-Conte della sera precedente non aveva prodotto passi in avanti nella trattativa. Dal fronte Cinque stelle piombavano come missili le veline contro i numeri diffusi da Palazzo Chigi sull'andamento delle spese militari dal 2019. Poi Conte riunisce i senatori per decidere la linea. A Montecitorio si ritrova un gruppo di contiani (Gilda Sportiello, Michele Gubitosa, Ettore Licheri). Sul tavolo spunta la proposta dell'astensione sul Dl Ucraina. Ipotesi che perde quota col passare delle ore. Ecco che i Cinque stelle calano un'altra mossa: il decreto Ucraina approda in Aula senza relatore. Scelta che fa sparire l'ordine del giorno di Fratelli d'Italia accolto dal governo in Commissione Esteri e Difesa che impegnava il governo a portare le spese militari al 2% del Pil. Si attendono le mosse del governo. Però si fanno i calcoli. La pattuglia di incerti oscilla tra gli 80 e 100 senatori. Il gruppo grillino a Palazzo Madama è quasi compatto sulla linea contiana. Dai 73 se ne sfilerebbero al massimo una ventina. Ai 50 grillini, pronti a far saltare il provvedimento, vanno aggiunti 20 di senatori sparsi tra le varie sigle. Ci sono i 4 di Italexit, il movimento fondato dall'ex Cinque stelle Gianluigi Paragone. Poi Matteo Mantero di Potere al popolo ed Emanuele Dessì del Partito Comunista. E poi tutta la corrente ex grillina confluita in Alternativa c'è. Si accoda il senatore di Italia dei valori Elio Lannutti. Il no è quasi scontato da parte dei cani sciolti Barbara Lezzi, Nicola Morra, Paola Nugnes. Ma le defezioni potrebbero arrivare anche dal gruppo Leu e Articolo Uno. Non si può rischiare una votazione al buio.
Il ministro degli Esteri Luigi di Maio non ha presa sul gruppo in Senato. La moral suasion su Conte sortisce risultati opposti. Si rischia lo strappo. Il lodo Guerini offre la via d'uscita. La fiducia blinda testo e governo. Conte ripone le armi.
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