Spinta sul Tfr ai fondi ma non ci sarà obbligo

Smentito dal ministero il trasferimento automatico. Ipotesi di incentivi per chi va in pensione più tardi

Spinta sul Tfr ai fondi ma non ci sarà obbligo
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Il cantiere pensioni sarà una delle anime della prossima manovra di bilancio che non sarà «lacrime e sangue», ha detto ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani, «ma con risorse limitate». Il leader di Forza Italia ha parlato di sostenere i giovani sulla prima casa, ma anche di pensioni minime che «vanno aumentate in un percorso che è quello di arrivare a 1.000 euro». Intanto, secondo quanto emerso da alcune ricostruzioni di stampa, ha fatto discutere l'interpretazione di alcune dichiarazioni del ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, circa l'apertura di una finestra di sei mesi di silenzio-assenso per il trasferimento del Tfr ai fondi di pensione complementare. Calderone aveva dichiarato di sostenere «una riapertura di un semestre di silenzio-assenso» perché uno degli elementi che «ha costituito una scarsa appetibilità della previdenza complementare, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è il fatto che non è stata spiegata bene».

Tuttavia, l'ipotesi di un trasferimento del Tfr ai fondi pensione complementare senza una precisa volontà del lavoratore è stata smentita dalle stesse fonti ministeriali contattate da Il Giornale. Le parole del ministro, quindi, sarebbero da interpretare con la necessità di fare più informazione sul periodo di sei mesi che, i neo assunti, hanno per decidere di lasciare il proprio Tfr in azienda (per l'appunto, il silenzio assenso) o destinarlo ai fondi. Non poteva evidentemente trattarsi di una sorta di trasferimento coatto mascherato, del resto, anche perché si tratterebbe di una cosa di dubbia costituzionalità (una proposta del leghista Claudio Durigon prevede di destinare almeno una quota del Tfr ai fondi). Peraltro, creerebbe un problema alla numerosa cintura di piccole e medie imprese in Italia che, grazie al trattenimento del Tfr in azienda, si garantiscono un certo sostegno finanziario. Giusto, invece, come sta studiando il governo, lavorare sulla conoscenza: è innegabile che, a molti giovani con carriere contributive discontinue, in futuro potrebbe fare comodo avere un assegno di previdenza complementare. D'altro canto, è bene sapere che un fondo di pensione complementare ha vincoli e tempistiche più lunghe del Tfr in azienda per chi volesse ottenere subito l'intero capitale. E se in passato i fondi pensione hanno reso di più del Tfr in azienda, negli ultimi anni l'alta inflazione e la conseguente rivalutazione ha messo in discussione anche questo assunto che pareva granitico. Le esigenze diverse, quindi, rendono inappropriato prediligere una soluzione al posto dell'altra. Si lavora quindi sulla possibilità di una scelta informata e si lavorerà per rendere burocraticamente più facile il trasferimento del Tfr in azienda ai fondi pensione, per chi lo volesse.

Al fine di mantenere in equilibrio il sistema previdenziale gravato dall'invecchiamento della popolazione, si sta pensando di elaborare incentivi in busta per chi si trattiene di più al lavoro (sulla falsariga del bonus Maroni). Quello che emerge dal dibattito governativo è che si stia andando verso l'addio al sistema delle quote per la pensione, probabilmente già quest'anno.

Difficile si rinnovi Quota 103 (più probabile la conferma di Opzione Donna e Ape Sociale), possibile - su spinta leghista - che venga sostituita con una Quota 41 «light» che prevederebbe però penalizzazioni sull'assegno. La sensazione è che si punti a una soluzione strutturale che sposi due anime: flessibilità in uscita, con forti incentivi per chi invece resta al lavoro. Sempre risorse permettendo.

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