Due cerimonie parallele nello stesso palazzo presidenziale di Kabul. Trasmesse dalle emittenti televisive una a fianco all'altra. Da un lato Ashraf Ghani (nella foto), il capo di Stato uscente, dichiarato dalla commissione elettorale afghana il vincitore delle elezioni dello scorso 28 settembre. Dall'altro il suo rivale Abdullah Abdullah, autoproclamatosi presidente negli stessi minuti in una diversa ala dello stesso edificio. Da ieri l'Afghanistan ha formalmente due presidenti, insediatisi contemporaneamente in una capitale blindata, con strade chiuse e posti di blocco. Ghani, 70 anni, lo scorso 18 febbraio è stato eletto presidente per la seconda volta, dopo la sua prima vittoria nel 2014, forte del 50,64% delle preferenze certificate dalla commissione (contro il 39,52% di Abdullah). I cinque mesi di attesa trascorsi tra la chiusura delle urne e l'ufficializzazione dei risultati sono stati dovuti proprio alle accuse di brogli elettorali mosse da Abdullah, 59 anni, principale sfidante del presidente uscente, leader della Coalizione nazionale dell'Afghanistan ed ex capo dell'esecutivo di Kabul. Fino al mattino si è sperato in un accordo tra i due, le cui delegazioni hanno trattato per tutta la notte precedente. Secondo i media locali Ghani avrebbe offerto ad Abdullah una presenza significativa nel futuro esecutivo e un ruolo di supervisione nelle trattative di pace con i talebani. Eppure, niente da fare: ieri mattina ognuno è andato per la sua strada. Abdullah, durante il suo giuramento, ha detto che il riconoscimento del trionfo dell'oppositore «sarebbe stato la fine della democrazia in Afghanistan». Anche Ghani ha giurato come da programma, promettendo di «preservare l'indipendenza, la sovranità nazionale, l'integrità territoriale e gli interessi del popolo afghano». Alla cerimonia anche diversi diplomatici stranieri, tra cui l'inviato speciale degli Stati Uniti in Afghanistan Zulmai Khalilzad.
La crisi istituzionale aperta dalla doppia presidenza non è solo un pericolo di per sé, ma mette a rischio anche l'accordo di pace raggiunto a febbraio dagli Usa con i talebani.
Proprio ieri, come previsto dal piano messo a punto dall'amministrazione Trump, Washington ha iniziato il ritiro delle proprie truppe di stanza in Afghanistan, da 13mila a 8.600. Completato il ritiro americano, toccherà a Kabul trattare con i talebani, che finora si sono rifiutati di sedersi al tavolo. Il timore è che lo scontro tra Ghani e Abdullah faccia guadagnare loro spazio.
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