La stanza delle torture della gang dell'albanese temuto pure da Carminati

Il gruppo di Carlomosti tra estorsioni, armi, sequestri e spaccio. E spaventava il "Cecato"

La stanza delle torture della gang dell'albanese temuto pure da Carminati

Roma Capitale criminale. Una stanza della torture foderata di plastica per non sporcare le pareti di sangue. Estorsioni, sequestro di persona, armi da guerra, tentato omicidio, lesioni, droga. Sono solo i reati principali commessi da una banda di narcotrafficanti stanziata da anni nel quartiere La Rustica.

Quattordici arresti, sei in carcere e otto ai domiciliari, 31 indagati dalla Dda fra i quali due elementi di spicco. Come Armando De Propris, 49 anni, detto Papi o Anima Lunga, l'uomo che possedeva il revolver calibro 38 con il quale viene ucciso alla Caffarella Luca Sacchi, e Tomislav Pavlovic, il montenegrino di 43 anni detto Tommy, o l'Albanese, temuto persino da Massimo Carminati, il Cecato dell'inchiesta Mondo di Mezzo. In un'intercettazione, parlando della batteria de La Rustica, Carminati dice: «Quelli so' brutti forte, compa'». Ai vertici dell'organizzazione due fratelli, Daniele e Simone Carlomosti, 44 e 39 anni, il primo detto Bestione o il Gigante. L'indagine parte nel 2017 quando fra i due scoppia una guerra fratricida. È il 17 novembre quando il Bestione prova a uccidere Simone scaricandogli contro un intero caricatore di pistola. Daniele gli spara con una calibro 7,65 dal balcone di casa, al 62 di via Delia, e solo per caso Simone riesce a scamparla mentre viene ferito uno spacciatore, Giuseppe Setteceli.

La guerra, cominciata mesi prima con incendi, gambizzazioni, auto bersagliate di colpi, mette in allarme i carabinieri del comando provinciale e l'antimafia, che seguono tutti i movimenti della banda. Come il tentato acquisto di mille chili di hashish dal Marocco imbarcati su un gommone e diretti nella capitale passando per la Spagna, bloccati dalla polizia marocchina al largo di Gibilterra. Il traffico di sostanze stupefacenti è una delle attività della gang dell'albanese. Maurizio Cannone, detto er Fagiolo, un affiliato accusato di non aver pagato un carico di droga per 64mila euro più altri 60mila euro, viene attirato in trappola da Daniele e Fabio Pallagrosi, Umberto Mancini, Romina Faloci, Paolo Oliva e Matteo Raffaele, il Pischello. Quando arriva in casa del Bestione, l'11 dicembre del 2018, Cannone viene legato, nudo, e sottoposto a torture per sei ore. Al Fagiolo viene negata l'acqua, picchiato con mazze di ferro, terrorizzato con kalashnikov e pistole. Per costringere i familiari a pagare il dovuto l'uomo viene filmato mentre viene ferito con forbici, un trapano e delle tronchesi. Verrà liberato solo al pomeriggio dopo il pagamento di una prima rata di 8mila euro dalla compagna e dal fratello.

Nei giorni successivi le minacce non finiscono. «Ti sparo in testa» gli promettono Daniele Carlomosti e Fabio Pallagrosi, fino a quando l'uomo non versa altri 37mila euro a vari sodali fra i quali Vanessa Papale, fra gli arrestati. Fatti avvenuti, secondo la Procura, con metodo mafioso.

Roberto Virzì, detto Mascellone, viene picchiato a sangue da Daniele Carlomosti, Fabio Pallagrosi e Armando De Propris per costringerlo a versare 20mila euro, il doppio del valore di 10 chili di hashish presi «a buffo», in conto vendita. Figure notevoli del gruppo di fuoco sono la zia Cecilia Leo e la moglie del Bestione, Romina Faloci.

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