"Gli States hanno bisogno del nostro acciaio. Bruxelles risponda subito"

L'ad di Cogne Massimiliano Burelli ottimista: "Infine si troverà un punto di equilibrio, ma l'Ue sia rapida"

"Gli States hanno bisogno del nostro acciaio. Bruxelles risponda subito"
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I dazi Usa, la crisi dell'automotive che impatta sulla componentistica e le nuove regole europee. Una tempesta perfetta con cui devono fare i conti anzitutto i produttori di acciaio. Come Cogne Acciai Speciali, il gruppo valdostano controllato dalla multinazionale taiwanese Walsin Lihwa e guidato dall'ad Massimiliano Burelli.

Burelli, partiamo dai dazi annunciati. Quali rischi per il settore siderurgico?

«Può essere utile il nostro esempio. Noi forniamo agli Usa il 10% circa del nostro fatturato, ma si tratta di una tipologia specifica di prodotto che non è disponibile in quantità sufficiente negli States, dove il consumo interno è più alto di quello che viene prodotto localmente. Dunque c'è necessità di importarne dall'Europa. Per cui o si trova una soluzione in cui i produttori americani chiedono esclusioni perché non c'è materiale disponibile o tutti dovremo pagare dazio. Credo però che alla fine si troverà un punto di equilibrio».

La presidente Ursula von der Leyen lancerà il 4 marzo il dialogo strategico sull'acciaio per poi arrivare a presentare un piano d'azione specifico. Risposta adeguata?

«In Europa attualmente c'è il cosiddetto mix mode, con materiale importato, materiale che viene prodotto nel continente e materiale che viene esportato, in maggioranza specialità. Una parte ovviamente va negli Usa. Quando vennero rilasciati i dazi nel marzo 2018 sull'import di acciaio e alluminio i tempi di reazione della Ue furono lentissimi. Bruxelles adottò la prima contromisura seria solo a giugno 2019. Ora gli equilibri politici sono cambiati, prima tutti potevano contare sugli Usa come riferimento nella Nato cui chiedere aiuto, ma adesso non è più così scontato. Se dovessero essere confermati i dazi in modo veemente, senza alcun tipo di quote o esclusioni, serve una risposta della Ue che sia veloce ed efficace».

Il settore dell'acciaio è variegato, si riuscirà a trovare una risposta valida per tutti?

«Tra i produttori europei di acciaio ci sono da sempre due anime: c'è chi lavora il semiprodotto e chi lo produce qui e tenta di ridurre l'import. È un mercato che si bilancia in maniera naturale, vanno trovate le giuste condizioni dando per scontato che la deglobalizzazione è galoppante e che sempre di più avremo economie regionali protette. La prima amministrazione Trump provò ad avere accordi singoli con i vari Paesi. Oggi c'è una controparte più ampia come l'Europa per negoziare accordi migliori, la Ue è diversa dal 2018 sia come colore politico, sia come peso dei singoli Stati. E non trascuriamo il fatto che l'Italia è cresciuta di importanza».

Nel 2026 entrerà in vigore il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere introdotto dall'Europa per tassare l'import di beni provenienti da paesi extra Ue con regolamentazioni climatiche meno rigorose. Quanto peseranno le nuove norme su acciaio e alluminio?

«Il Cbam dovrebbe penalizzare l'import il cui materiale è stato prodotto con un'emissione di Co2 più alta.

Il problema è che ci sono molte vie di fuga, insomma le regole sono facili da aggirare e questo crea ulteriore disparità a scapito della concorrenza. La complessità è legata all'onere di rendicontare e alla oggettiva difficoltà di verificare la veridicità di quanto rendicontato. Sarebbe più semplice e oggettivo a quel punto fissare un dazio».

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