Lo Stato si «mangia» i ristoranti dei clan

Confiscata la catena di «pizza Ciro», un impero da 80 milioni di euro

Tiziana Paolocci

La camorra aveva un impero all'ombra del Cupolone. Un impero fatto di pizzerie, bar, ristoranti alla moda aperti nelle principali vie del centro storico, con un volume d'affari spropositato rispetto ai redditi dichiarati. Un impero opra confiscato.

A sollevare il velo, ancora una volta, sui legami tra malavita campana e capitolina, sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Roma che hanno confiscato beni per 80 milioni di euro a quattro imprenditori, i fratelli Luigi, Antonio e Salvatore Righi e Alfredo Mariotti. I primi tre erano stati arrestati dai militari dell'Arma già nel gennaio 2014 nell'ambito dell'inchiesta «Pizza Ciro», che portò al sequestro di diversi locali e fece scattare le manette ai polsi di venti persone. Ieri i sigilli sono stati messi a 28 esercizi commerciali e sono stati sequestrati 41 beni immobili, 385 rapporti finanziari/bancari, 76 veicoli, 77 società titolari di parte dei beni e trecentomila euro in contanti. Tutti beni, già sottoposti a sequestro preventivo nel 2014 su richiesta della DDA di Roma e attualmente gestiti dagli amministratori giudiziari nominati dal Tribunale. Si tratta di «insegne» familiari, per chi frequenta le strade limitrofe ai Palazzi delle istituzioni, a cominciare dai punti «Pizza Ciro» di via della Mercede e piazza Sant'Apollinare. Alle Srl confiscate sono riconducibili, tra l'altro, la gelateria «Ciuccula», in piazza della Rotonda, il ristorante «Pummarola & Drink», la pizzeria «Zio Ciro Mangianapoli» di via della Pace, la pizzeria «Da Ottavio» in corso Rinascimento, il ristorante «Sugo» di piazza Nicosia, l'«Osteria della Vite» di via della Vite e il wine bar «Jamm Ja» di via dei Baullari.

L'ascesa della famiglia Righi era iniziata negli anni '90 quando, da proprietari della pizzeria «Da Ciro» in via Foria, a Napoli, avevamo deciso di trasferirsi a Roma, acquisendo di fatto di una holding di società attive nella gestione di numerosi ristoranti-pizzeria nelle vie più importanti della capitale. Ma il volume d'affari troppo alto rispetto ai guadagni dichiarati dai ristoranti ha messo in allerta i carabinieri. Ed è stato facile per gli investigatori accertare che i tre fratelli erano «stabili riciclatori» per conto della camorra napoletana al servizio, in particolare, del clan Contini. La rete di società intestate a prestanome serviva perciò a reimpiegare e occultare ingenti risorse economiche di provenienza illecita e a sottrarre le imprese acquistate a misure di prevenzione patrimoniale. Non è un segreto che alla loro «fortuna» abbia contribuito il loro coinvolgimento nel sequestro di Luigi Presta, avvenuto a Napoli nel 1983.

All'epoca, Ciro, la moglie e i figli furono arrestati poiché sospettati di aver riciclato parte del riscatto. Successivamente il vincolo con il clan Contini non ha impedito loro di proporsi quale punto di riferimento a Roma di altri sodalizi camorristici e di accumulare un patrimonio.

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