«È una giornata importante. Così è stata definita da tutti gli attori del tavolo. Una giornata importante per l'auto, per l'industria, per i lavoratori italiani». Così il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha commentato a caldo la chiusura del Tavolo Stellantis che ieri a Roma ha riunito i titolari dei dicasteri coinvolti (Giorgetti per il Mef e Calderone per il Lavoro), il responsabile europeo del gruppo auto Jean-Philippe Imparato, i presidenti delle Regioni, imprese e sindacati.
Non si può, infatti, utilizzare altro termine che «vittoria» perché Stellantis investirà 2 miliardi nel nostro Paese l'anno prossimo, porterà nuove piattaforme (vedi articolo sotto) e manterrà aperte le fabbriche salvaguardando i livelli occupazionali. Dall'altro lato, il governo non si è presentato a mani vuote con 1,6 miliardi da destinare alle imprese del settore per il triennio 2025-2027. In particolare, per il 2025 il fondo automotive ammonta a 200 milioni di euro, cui si aggiungono 100 milioni di residui 2024 dello stesso fondo e 500 milioni derivanti dai fondi Pnrr per le filiere strategiche. Per il 2026 e il 2027 il ministero stima 400 milioni rispettivamente da destinare al fondo automotive. Nel 2025 ci saranno 1,1 miliardi di euro potenzialmente disponibili per le aziende del comparto attraverso contratti di sviluppo (600 milioni), mini contratti di sviluppo (200 mln) e accordi per l'innovazione (300 milioni). Inoltre, per il triennio al 2027 ci sarebbero altri 500 milioni di risorse disponibili per ulteriori interventi. «Giorgetti - ha precisato Urso - ha spiegato che ove le imprese richiedessero altre risorse per l'innovazione, saranno rese disponibili».
Ma se questa è una battaglia chiusa con esito positivo, ancorché le premesse non fossero incoraggianti (almeno fino a quando Stellantis è stata guidata da Tavares), la vera guerra si combatte a Bruxelles. In primo luogo, occorre ritirare le multe miliardarie per l'eccesso produttivo di auto con motore endotermico che rischiano di far collassare il settore, poi allargare la breccia aperta dal governo con il non paper di Urso al Consiglio Competitività che ha evidenziato «quanto fosse folle questo percorso per la decarbonizzazione, che tutti vogliamo raggiungere nel 2035». Il ministro ha invocato un approccio «pragmatico e realistico» per coniugare sostenibilità ambientale con le esigenze produttive e sociali, trovando ampio consenso tra i Paesi membri, nel Ppe e tra le principali associazioni imprenditoriali europee. «Non accetteremo nessuna misura tampone: lo dico con chiarezza, perché è la linea della presidente Giorgia Meloni che il governo e l'Italia porteranno in qualsiasi consesso europeo», ha ribadito.
Come ha detto Imparato, «non è un piano di difesa ma di sviluppo» e anche se il 2025 sarà tosto, «tutti gli stabilimenti in Italia saranno attivi» e nel 2026 è previsto un aumento del 50% della produzione rispetto al 2024, con l'effetto trainante dell'ibrido. Ecco perché i presidenti delle Regioni interessate, Cirio (Piemonte, Rocca (Lazio), Marsilio (Abruzzo) e Bardi (Basilicata), c'è stato un cambio di passo e si aprono scenari interessanti, sebbene da verificare proprio per non incorrere nel manacato rispetto dei programmi. Un'ipotesi che i sindacati ancora temono. Per la Uilm «senza fatti concreti non ci sono le condizioni per parlare di una nuova fase». La Fiom-Cgil ha definito il confronto «un primo passo di ripartenza», ma ha confermato la mobilitazione, chiedendo un intervento Ue. Ottimiste le imprese.
Per Roberto Vavassori (Anfia-Confindustria) sono «novità importanti che offrono opportunità alla filiera». Soddisfatto pure Cristian Camisa (Confapi) per l'impegno sul rispetto dei tempi di pagamento. Ma forse la rassicurazione migliore è quella di Imparato. Una fusione con Renault? «No!», ha tagliato corto.
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