"Riina al Quirinale. E poi il vilipendio è mio...". Il tweet di Francesco Storace la dice tutta sulla sua situazione. Il leader de La Destra, reo di aver usato nel 2007 la parola "indegno" nei confronti di Giorgio Napolitano e per questo processato per vilipendio in base all'articolo 278 del codice penale, non ha paura. Anzi, lancia la sfida: "Se davvero ho peccato di lesa maestà, arrestatemi", dice in una intervista a La Repubblica. "Se mi condannano e non mi arrestano, mi toccherà ogni giorno reiterare il reato, ogni giorno sul Giornale d'Italia", continua.
L'ex presidente della Regione Lazio poi torna al momento del reato: "Era il 2007, governo Prodi. Feci una fortissima polemica contro il sostengo dei senatori a vita all'esecutivo in carica. Uno dei miei giovani usò sul blog la parola "stampella" parlando di Rita Levi Montalcini. Lei scrisse al vostro giornale, Napolitano la ricevette e definì l'attacco "indegno". Io gli risposi, politicamente, con le sue stesse parole: "Semmai è indegno il capo dello Stato". Fu una scelta di comunciazione, pensai che finisse lì". Invece fu il ministro della Giustizia di allora, Clemente Mastella, ad avviare il processo: "Mastella diede il via libera 48 ore".
Storace poi rivela che due anni dopo il Quirinale aveva chiuso la questione e Napolitano aveva dichiarato: "Non mi opporrei se il Parlamento abrogasse l'articolo 278"". E adesso? "Solo a me viene imputato un reato per il quale nessun altro è chiamato a rispondere, mentre il vilipendio dei Cinque stelle non si tocca e il ministro Orlando tace".
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