Le strade dell'esecutivo per spegnere subito il rischio autunno caldo

Si aspetta il piano di Orlando sul lavoro. Sabato i sindacati tornano in piazza

Le strade dell'esecutivo per spegnere subito il rischio autunno caldo

La politica torna a parlare di lavoro e sembra quasi un'anomalia. Non ci eravamo più abituati. Il centro era sempre altrove: vaccini, aperture, chiusure, coprifuoco, immigrazione, ius soli, omofobia. A pensarci è piuttosto strano. È il lavoro in fondo che scandisce ritmi e prospettive delle nostre vite. E dal lavoro dipende anche il futuro economico dell'Italia. Questo Mario Draghi lo sa e negli ultimi tempi sta anche mostrando una certa impazienza verso il ministro Andrea Orlando, che non ha ancora presentato la riforme del welfare e del lavoro. Il governo non può permettersi un autunno troppo caldo. I sindacati tradizionali sabato torneranno in piazza, ma non sono loro che preoccupano. È la rabbia diffusa, quella della miseria e della disperazione, quella di chi si sente con le spalle al muro. È il contagio imprevedibile del furore.

Il governo deve fare delle scelte. La più immediata è su quando sbloccare i licenziamenti. Il blocco è come il gesso ai piedi. È stato utile per rinsaldare le ossa rotte, ma più tardi lo togli e più in là torni a camminare. L'idea è tornare alla normalità a fine luglio, anche perché siamo tra gli ultimi a farlo, ma c'è chi spinge per arrivare fino a ottobre. Il vero problema è preparare il paracadute per chi cade. È qui che servono misure di welfare mirate, un sostegno per avere il tempo di rimettersi in gioco. Sarebbe anche il caso di trovare un modo per premiare le imprese che non licenziano o che assumono. È un invito a non fallire e una scommessa sulla ripresa. È un investimento in fiducia.

Il mercato del lavoro italiano è poi particolarmente strabico. Ci sono aziende che non riescono a trovare mano d'opera. L'ultimo allarme arriva dal settore dell'edilizia, dove mancherebbero centomila posti di lavoro. Questo vale anche per ristorazione e alberghi e per buona parte delle filiera del turismo. Ce ne sono anche altri. Ora in Italia si comincia a parlare di disoccupazione permanente. Quella giovanile è a livelli di rivolta sociale. È chiaro che deve esserci un problema profondo, strutturale: domanda e offerta non riescono a incontrarsi. Non si vedono. Chi lo offre non incrocia chi lo sta cercando. È un problema di prezzo, cioè di salario? Qualcuno sostiene che sia troppo basso e altri fanno notare che a inguaiare tutto sono le tasse. C'è del vero. È certo però che questa è la fotografia di un fallimento. Gli esperti le chiamano politiche attive. Doveva essere l'altra faccia del reddito di cittadinanza. Non si è mai vista. I leggendari navigator non sono mai salpati. Non è detto che poi in questo contesto sarebbero serviti, perché per far incrociare domanda e offerta di lavoro non basta aprire qualche agenzia qua e là e poi abbandonarle a se stesse. Per essere chiari non basta neppure la prossima bellissima applicazione da scaricarsi sul telefono. È un lavoro faticoso che passa per la riforma della pubblica amministrazione e da un impegno più convinto delle aziende nella formazione.

C'è poi tutto il mondo grigio dei lavori sfruttati e malpagati. Si parla di circa quindici milioni di persone. Sono quelli senza un contratto di categoria, precari, fittizi, finte partite Iva. È tutto ciò che la legge Biagi non aveva previsto.

È la flessibilità che diventa caporalato. Ecco, anche qui non basta parlare di salario minimo. Qui, più che altrove, il problema è davvero sindacale. Qui la maggioranza Draghi dovrebbe avere il coraggio di confrontarsi. Solo che non basta un tweet.

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