«L'analisi delle prove mai analizzate della strage di Erba si può fare». Il 12 luglio la Cassazione aveva respinto l'ultimo ricorso della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, che chiedeva l'incidente probatorio sui reperti mai analizzati della strage di Erba dell'11 dicembre 2006 che uccise Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Dieci ora prima della sentenza i reperti conservati al tribunale di Como erano stati inspiegabilmente distrutti: i giubbotti delle vittime, i mozziconi di sigaretta, la tenda della casa della Cherubini e molto altro. Ora le sorprendenti motivazioni della Suprema Corte hanno il sapore di una beffa: le analisi si possono fare come accertamento tecnico irripetibile con avviso al pm e contraddittorio, regolato dall'articolo 360 del codice di procedura penale. Peccato che gran parte di essi siano adesso solo cenere. Resta ciò che è nella disponibilità dei Ris di Parma e del laboratorio di Pavia: i margini ungueali del piccolo Youssef e i capelli ritrovati sulla sua felpa, la macchia di sangue F43 rinvenuta sul terrazzino di casa Castagna e mai identificata. E un guanto di lattice che fu trovato accanto al cadavere del bimbo, del cui mistero Il Giornale si occupò nell'inverno del 2007, molto prima che iniziasse il primo processo.
«È come aver fatto il giro dell'oca», dice l'avvocato Fabio Schembri, che con Luisa Bordeaux e Nico D'Ascola difende i coniugi oggi all'ergastolo e che sperano che le nuove prove possano aprire la strada alla revisione del processo. Sulle prove mai analizzate e distrutte il ministro della Giustizia ha annunciato di voler aprire un'inchiesta.
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