Per la strage Giardiello alla sbarra finisce il Palazzo di giustizia

La Procura di Brescia indaga sulle falle nella sicurezza che favorirono il blitz omicida

Giardiello entra nel tribunale di Milano
Giardiello entra nel tribunale di Milano

Non ci sono indagati, ma c'è il fascicolo. Un'inchiesta bis sulla strage del Palazzo di giustizia di Milano. La procura di Brescia ora alza il tiro. E prova a mettere nel mirino tutta la macchina che regola gli apparati di sicurezza nella cittadella giudiziaria di Mani pulite. Segmenti della magistratura, a cominciare dalla Procura generale, il Comune di Milano, le aziende che a suo tempo avevano vinto la gara per presidiare i varchi d'ingresso. Non è semplice addentrarsi nei meandri, tutti italiani, delle competenze incrociate e sovrapposte, delle responsabilità impalpabili e dei rimpalli fra i diversi soggetti.

Ma certo la verità fin qui raggiunta non basta e allora bisogna battere altre piste, più ambiziose, per capire come mai la mattina del 9 aprile 2015 Claudio Giardiello sfuggi alle maglie dei controlli, entrò con una pistola nel tempio del diritto, seminò la morte con sconvolgente facilità.

Oggi il killer è all'ergastolo, ma la sua condanna è poca cosa rispetto alle falle paurose degli apparati emerse nel corso dell'inchiesta. E francamente non ci si può fermare nemmeno davanti alla figura della guardia giurata che con ogni probabilità si trovò faccia a faccia con Giardiello all'ingresso del Palazzo e lo lasciò passare: Roberto Piazza è stato processato a sua volta e assolto.

Insomma, su questo fronte delicatissimo e inquietante siamo all'anno zero. La sentenza del tribunale di Brescia, competente perchéil killer ammazzò anche il giudice Fernando Ciampi, certifica la situazione e in qualche modo apre la strada al nuovo fascicolo, aperto in segreto la scorsa estate. Il tribunale mette le mani in quel pasticcio: sconcertante e scrive, fra l'altro, che gli uomini in divisa ai cancelli del Palazzo non avevano nemmeno ricevuto una direttiva chiara sul da farsi nel caso avessero scoperto che una valigetta conteneva un oggetto metallico e quindi sospetto. A quanto pare, non avevano nemmeno l'obbligo di farla aprire, ma procedevano in modo empirico, bilanciando le ragioni del buonsenso con i ritmi infernali imposti dai numeri altissimi delle persone quotidianamente in fila per entrare. Non solo: il Giornale ha documentato nelle scorse settimane l'impreparazione di parte del personale schierato in un luogo cosi simbolico e rappresentativo e anzi ha messo in luce i profili incredibili di alcune delle persone in servizio quel giorno.

Pregiudicati per reati gravissimi, dalla rapina al traffico di stupefacenti e persino, dettaglio quasi surreale, un irregolare che era stato espulso ma la mattina del 9 aprile 2015 sorvegliava tranquillamente la piccola folla in coda alle porte.

Il Palazzo come un colabrodo. La Procura non può quindi accontentarsi di aver portato sul banco degli imputati un vigilante, peraltro assolto in primo grado. «Dopo il clamore iniziale e l'abbraccio commovente del Presidente Sergio Mattarella, siamo stati abbandonati dalle istituzioni», ha spiegato al Giornale Aldo Claris Appiani, papà di Lorenzo, l'avvocato ucciso da Giardiello nella sua scorribanda sanguinaria - ci è rimasta vicina solo Ilaria Amè che aveva conosciuto Lorenzo alle manifestazioni di Forza Italia».

Ora però Claris Appiani, disilluso ma non rassegnato, torna a sperare: «La notizia dell'apertura di un secondo fascicolo è molto importante. Lo Stato non rinuncia alla ricerca della verità e della giustizia».

E Amè, in passato assessore a San Donato Milanese e oggi candidata alle regionali nella lista Fontana, promette battaglia: «Porterò al Pirellone la solitudine dei Claris Appiani e delle troppe vittime che soffrono come loro».

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