Spietato, era spietato. Ma a differenza di altri boss di prima grandezza, Matteo Messina Denaro ha sempre unito la ferocia a una certa duttilità, una sorta di intelligenza politica che lo ha reso diverso da Totó Riina e da altri generali di Cosa nostra. «Noi lo dobbiamo adorare», si dice in un'intercettazione che la dice lunga sulla sua capacità di aggregare consensi e redistribuire ricchezze fra gli affiliati.
Insomma, il copione non è scontato e potrebbe pure riservare qualche sorpresa. Anche perché non campava a pane e cicoria, come Bernardo Provenzano, e nemmeno si presentava con tono dimesso come Riina. In un covo appena abbandonato, alla fine degli anni Novanta, gli investigatori trovarono PlayStation, una sciarpa di seta, capi di cashmere. Se pensiamo che Messina Denaro è malato e non ha mai fatto un giorno di prigione, possiamo immaginare qualche azzardo ulteriore. E allora si apre il pozzo senza fine dei misteri di Cosa nostra. Si torna alla stagione spaventosa delle stragi. In particolare le bombe di via Fauro, degli Uffizi e di via Palestro a Milano. Gli esecutori sono legati ai fratelli Graviano e a lui. Se nel '92, fra Capaci e via D'Amelio, Messina Denaro è in alto ma non ancora al vertice, l'anno dopo la situazione è cambiata ed è lui, o dovrebbe essere lui, a dettare la linea. C'è di mezzo il papello che nel '92 è stato inviato dal gotha mafioso allo Stato. E le bombe sarebbero la colonna sonora di quella richiesta, un tentativo in dodici punti di piegare le istituzioni alle esigenze dei capi dell'organizzazione stragista.
In parallelo, ci sarebbe stata la trattativa, anzi le trattative con pezzi della politica, senza distinzioni di schieramenti. Il processo di Palermo che ha esplorato questi filoni non è approdato a nulla, ma potrebbero esserci rivelazioni e spiegazioni che finora non sono arrivate. Un fatto è probabile: quando Riina fu catturato, esattamente trenta anni fa il 15 gennaio '93, il covo fu ripulito dai soldati di Cosa nostra e il papello sarebbe stato consegnato proprio a lui. Dunque, gira e rigira si torna sempre a quel periodo tragico, in cui Cosa nostra cerca di ricattare lo Stato e tenta una prova di forza che si rivelerà disastrosa per l'organizzazione criminale.
1993 e 1992. Muore Paolo Borsellino e sparisce nel nulla l'agenda rossa in cui il magistrato potrebbe aver scritto intuizioni, paure, ipotesi sulla morte di Falcone e pure qualche premonizione sulla propria imminente fine. Chi sottrasse l'agenda rossa, la scatola nera di quella stagione cupa come la chiama Salvatore Borsellino, fratello di Paolo? Nodi intricati e fra loro collegati. L'ipotesi prevalente è che venne portata via da un uomo in divisa e sparì nel nulla. Forse, Borsellino, che aveva la percezione di essere un morto che cammina, aveva annotato i suoi dubbi, dubbi che restano ancora oggi: il giudice saltò in aria perché aveva messo le mani sulla lista che portava agli appalti targati Cosa nostra oppure per via della famigerata trattativa? Non sono quesiti teorici, ma questioni molto concrete. Sarebbe interessante avere una mappa più completa dei «soldati» di Cosa nostra, di eventuali complici e fiancheggiatori. In definitiva, senza cedere a facili complottismi e tentazioni ideologiche, sarebbe fondamentale sapere se ci siano stati suggeritori esterni a Cosa nostra che abbiamo avallato o anche solo tollerato la strategia del tritolo.
Ma il personaggio è tutto da decifrare: Messina Denaro agiva nell'ombra e non ci sono per lui racconti, disarmanti e quasi da fumetto, come quello di Riina che bacia Giulio Andreotti. Lui era accorto e stava un passo indietro, altrimenti non si spiegherebbe l'interminabile latitanza. Anche nei decenni successivi in cui Messina Denaro è artefice della riconversione di Cosa nostra in una direzione più soft, cercando in qualche modo una forma di convivenza con lo Stato.
E però, riandando al 92, c'è un episodio che dovrebbe essere chiarito una volta per tutte: il tentativo, clamorosamente fallito, di uccidere il commissario Calogero Germanà sul lungomare di Mazara del Vallo il 14 settembre 1992. Il commando è composto da Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. Perché i tre si espongono in prima persona per eliminare l'obiettivo? Dopo trent'anni si attende sempre una risposta.
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