La verità raramente è pura e non è mai semplice, diceva Oscar Wilde. E per questo il lavoro di ricostruzione sull'origine della pandemia in Italia che la Procura di Bergamo sta completando è sempre più complesso, nonostante la consulenza tecnica a cui sta lavorando da quasi un anno e mezzo una equipe di scienziati dell'Imperial College di Londra guidati dal virologo Andrea Crisanti. Anche perché ogni giorno spuntano documenti e carte che smentiscono le parole di chi, al ministero della Sanità, era in prima linea negli infuocati giorni che vanno dal 20 gennaio al 15 aprile 2020. Come ha scritto il Giornale e come ritengono i pm che indagano per epidemia colposa il Covid 19 era già in Italia almeno un mese prima del famoso caso zero di Codogno. C'è una cartella clinica datata 17 febbraio 2020 che il Giornale ha potuto solo visionare in cui si parla di sintomi come «dispnea», «tosse», «febbre», «versamento pleurico» e «sfumati addensamenti parenchimali, con aspetto a vetro smerigliato, nel polmone sinistro» emersi dopo una Tac il 26 gennaio. L'uomo di origine cinese e ricoverato nella Bergamasca non fu mai tamponato, seppur in presenza di una cartella clinica in cui si riportano sintomi che starebbero perfettamente sovrapponibili a quelli del virus che lo dimostrerebbe. Fu Fabrizio Pregliasco a definirlo un caso «sospetto» qualche sera fa a Fuori dal Coro. Colpa del pasticcio delle due circolari ministeriali - del 22 gennaio e del 27 gennaio - che modificarono i parametri sulla definizione di caso.
Ieri sera, nello speciale di PresaDiretta intitolato Il virus perfetto è stato lo stesso Crisanti, intervistato da Francesca Nava, a dire che nei giorni di fine gennaio l'esecutivo aveva sottovalutato il tracciamento («la Lombardia non aveva capito che era seduta su una bomba») e a ragionare sulla possibilità concreta che questo di fatto abbia consentito al virus di trasformare l'Italia nel cluster che ha infettato il resto d'Europa. Ma perché questo cambio repentino? Galeotta fu la riunione del 25 gennaio tra i rappresentati delle Regioni alla presenza del viceministro Pier Paolo Sileri, come risulta dalle firme dei presenti, e di cui agli atti stranamente non c'è alcun verbale. Stando all'Avvocatura dello Stato, in quella riunione il ministero della Salute avrebbe acconsentito alla richiesta delle Regioni di ridurre e quindi limitare i tamponi solo ai sintomatici provenienti dalla Cina. Eppure, nel suo libro Il Covid segreto Sileri dice di aver sempre sottolineato «che la strategia dei tamponi su larga scala fosse necessaria, mentre il Cts insisteva nel limitare le indagini solo ai soggetti sintomatici». In realtà le cose starebbero diversamente, ed è questa l'ipotesi a cui stanno lavorando i pm. L'Italia non aveva abbastanza reagenti né tamponi. A confermarlo è proprio l'Istituto superiore di sanità in un documento inedito dello scorso 27 gennaio 2020 e visionato dal Giornale. Di contro l'indicazione di togliere dal rapporto di Zambon la frase a swab was not indicated (un tampone non era richiesto) per coloro che erano sintomatici ma non avevano un link con la Cina, avrebbe fatto il resto.
Una richiesta avanzata probabilmente per evitare di mettere in imbarazzo sia l'Italia sia la stessa Oms.
Insomma, i pezzi del puzzle in mano alla Procura delineano un quadro di responsabilità e omissioni ben chiaro, che chiamano in causa i vertici del governo e del ministero della Sanità, da Roberto Speranza al suo ex capo di gabinetto Goffredo Zaccardi fino all'ex dg della Sanità Ranieri Guerra, che assieme a Zaccardi - secondo mail, whatsapp e sms tra i due in mano alla Procura - avrebbe fatto sparire il contestato report.
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