Nel tardo pomeriggio di giovedì scorso, incontrando deputati e senatori della Lega nella nuova aula dei gruppi a Montecitorio, Salvini non ci ha girato intorno. E ha annunciato ai suoi l'intenzione di aprire «a breve» delle interlocuzioni in vista dell'ormai imminente partita del Quirinale. Perché, ha sottolineato, «il prossimo capo dello Stato deciderà tre legislature». Intendendo, evidentemente, non solo le prossime due ma anche quella in corso. Non è un mistero, infatti, che la corsa al Colle potrebbe avere come appendice anche uno show down che avvicini lo scenario delle elezioni.
Anticipando a deputati e senatori quel che avrebbe ribadito 48 ore dopo da Bari - «lunedì chiamerò i segretari di tutti i partiti» - Salvini ha quindi sottolineato che il confronto sarebbe iniziato da «i nostri alleati». E via ad elencarli uno a uno in questo ordine: «Meloni, Berlusconi, Toti, Cesa e Renzi». Si, ha citato espressamente anche il leader di Italia viva, tra lo stupore di molti dei presenti. Che tra i due Mattei ci sia un canale privilegiato e che si sentano spesso, infatti, non è un mistero. Ma arrivarlo a definire «alleato» davanti a circa 150 parlamentari non è proprio la stessa cosa. Anche se il riferimento fosse solo rispetto alla specifica partita del Colle. Una sfida delicata, anche per la tenuta dei gruppi parlamentari rispetto alle indicazioni che arriveranno dai rispettivi leader. Anche per questo, forse, Salvini ha scelto di sopire la polemica di alcune settimana fa, dopo la litigata su vaccini e green pass tra lo scettico Golinelli e il pro-vax Invernizzi. «Sul punto il nostro elettorato ha posizioni diverse, quindi - ha detto Salvini - evitiamo discussioni in proposito e anche di raccontarle ai giornali». Messaggio che i parlamentari della Lega hanno recepito, nonostante il curioso intervento di Golinelli che ha chiesto la parola per tornare a sostenere la linea no vax citando le sue personali competenze sul campo («in quanto allevatore» di suini, «sulla nocività dei vaccini non ho dubbi»).
Fedele all'impegno, dunque, Salvini ha iniziato ieri il suo giro di tavolo proprio partendo dagli «alleati». Ha sentito Berlusconi, incontrato Toti e chiamato Meloni e Renzi. Ha preso contatto con i centristi Cesa, Lupi e Brugnaro. E, infine, chiamato Conte, Letta e Calenda. «Per invitarli a un ragionamento comune», spiega Salvini.
Il cui obiettivo - malignano dentro Fratelli d'Italia - è riconquistare centralità dopo che per una settimana Atreju è stata la kermesse politica che ha dettata l'agenda del dibattito (anche in chiave quirinalizia). Al netto della competizione interna al centrodestra tra Salvini e Meloni, però, il punto è dare un segnale anche in chiave interna. Salvini, infatti, ha necessità di legittimarsi nella trattativa sul Colle rispetto a competitor ombra all'interno del suo stesso partito. È noto, infatti, che Giorgetti si sta muovendo da tempo in autonomia su questo fronte. E, magari sarà un caso, proprio ieri sera - nel giorno in cui il leader leghista ha messo in scena le «consultazioni» quirinalizie - si è lungamente dilungato sul tema con riflessioni su Draghi e sulle chances di Berlusconi.
Lo stesso problema di Salvini ce l'ha Conte, che ha il suo Giorgetti in Di Maio. Così, ieri si è arrivati al paradosso che l'ex premier e il suo ex ministro dell'Interno - che si detestano neanche troppo cordialmente dai giorni del Papeete - hanno concordato sulla necessità di un confronto. Stesso ragionamento vale per Letta, con la differenza che nel Pd i competitor ombra fanno fatica a stare sulle dita di una mano. Anche al segretario del Pd, dunque, può tornare utile la mossa di Salvini.
Tanto che è l'unico che è intervenuto pubblicamente sul tema, facendo trapelare che «è disponibile a parlare con il segretario leghista, come del resto fa con tutti i leader di partito, ma solo dopo l'approvazione della legge di Bilancio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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