Un interrogatorio fiume, avvolto nel silenzio, neanche fossimo negli anni Settanta. Nessuna agenzia di stampa, pochissime indiscrezioni, solo un articolo del Tempo di Tommaso Cerno ieri mattina che lo annuncia. Qualche voce nel pomeriggio («È stato spostato a domani»), anzi no, contrordine. In tarda serata arriva la conferma: alle 20:03 l'ex presidente dell'Antimafia dal 2017 al 2022 Federico Cafiero de Raho è uscito dalla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone dopo un interrogatorio a cui è stato sottoposto da «persona informata sui fatti» lungo sei ore nell'ambito dell'indagine sugli accessi abusivi alle banche dati della Procura nazionale antimafia che coinvolge il tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano e l'ex sostituto Antonio Laudati. La sua memoria dettagliata verrà depositata oggi in commissione Antimafia.
Sul tavolo a Perugia c'è il report scritto (ma non firmato) dall'ex braccio destro di de Raho all'Antimafia: Giovanni Russo - che oggi è al Dap - si sarebbe accorto sin dalla fine del 2019, dopo l'inizio del governo Pd-M5s di Giuseppe Conte, che l'ufficiale Gdf accusato di dossieraggio per le informazioni raccolte e propalate ai giornalisti amici, si muoveva con troppa disinvoltura tra inchieste e faldoni. Il deputato M5s sapeva ciò che faceva Striano? «Dopo essere stato chiamato in causa da Russo ho riferito informazioni e riscontri documentali dopo le troppe falsità sul mio conto». Il report di Russo, scovato in un cassetto dal successore di de Raho Giovanni Melillo lo proverebbe, ma non sarebbe l'unico elemento su cui Perugia sta ragionando. Ci sarebbe un carabiniere in servizio alla Direzione nazionale antimafia che sarebbe pronto a confermare a Cantone la versione di Russo: cioè che de Raho sapesse, avesse letto il dossier del suo vice e al quale avrebbe detto di rimetterlo nel cassetto perché che ci avrebbe pensato lui. L'indiscrezione non sembra turbarne la linea difensiva: «La lettera agli atti dell'indagine, non firmata ma attribuita a Russo, non l'ho mai vista», dice ai cronisti l'ex procuratore, «né ho mai ricevuto dallo stesso Russo alcuna segnalazione su comportamenti illeciti, scorretti o inopportuni di Striano. Bisogna capire quando è stata fatta», ha aggiunto, di fatto ammettendone la bontà e l'esistenza. Ma non sarebbe di Russo, perché secondo de Raho «presenta diverse incongruenze che ho evidenziato e che la rendono poco compatibile con il ruolo e la figura di Russo, che in tre audizioni in Antimafia non ne aveva mai fatto cenno, né tantomeno del presunto incontro con me».
Su Striano de Raho non aggiunge altro («non ci ho mai parlato in vita mia») ma qualche sassolino dalle scarpe se lo leva per lanciarlo al suo accusatore. «Le denunce di comportamenti scorretti vanno firmate, protocollate e inviate, come già fatto in passato». Quanto a Laudati lui «lavorava sotto l'operato di Russo, al quale avevo assegnato la direzione, l'organizzazione e il coordinamento dei gruppi di ricerche, compreso quello sulle Sos».
«Aspettiamo ancora che de Raho decida se rimanere in commissione», tuona Maurizio Gasparri, primo fan della sua cacciata dalla commissione guidata dalla meloniana Chiara Colosimo che indaga non solo sugli scheletri della Dna ma anche sui veri mandanti delle stragi del 1992 e 1993.
«Su di me in questi mesi sono state dette tante falsità e calunnie perché milito nei Cinque stelle, legalità e trasparenza per noi sono un valore assoluto - è il ragionamento finale di de Raho ai cronisti - ma non posso permettere a nessuno di infangarmi né di intimorirmi così come non l'ho consentito in decenni di lotta alla mafia in prima linea».
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