
I dazi non sono il gesto sgarbato del cattivo presidente Trump, come i media lasciano intendere, ma uno strumento della politica e il fatto che l'economia li critichi non significa che siano sbagliati. È vero, l'inasprimento di alcuni dazi sulle merci europee importate negli Stati Uniti avrebbe un duplice effetto: una parte delle merci saranno lasciate in Europa perché troppo care e un'altra parte verrebbe comunque acquistata dagli americani a prezzo più alto: tradotto, un'inflazione da import. Questo passa per un giudizio negativo sui dazi. In realtà, è piuttosto il prezzo che l'economia dovrà pagare alla politica che difende alcune imprese e lavoratori locali. Oltre 30 anni di laissez-faire all'economia e alla finanza hanno portato sì molta crescita, ma in quali luoghi? In quali regioni della terra? Tantissima nei Paesi emergenti e a scapito di alcune fasce di lavoratori in America, tipo quelli della Rust Belt che adesso hanno votato per equilibrare le cose. In aggiunta, negli ultimi anni il dollaro si è abbastanza apprezzato sull'euro, rendendo più accessibili le importazioni dall'Europa e all'opposto scoraggiando le esportazioni. Se la funzione dell'economia è di creare ricchezza, alla politica spetta il compito di distribuirla, anche con azioni sfavorevoli per gli affari. Quando si parla di «primato della politica» si intende questo. Inoltre, i dazi non sono un'idea di Trump, anche se lui li sventola ad uso interno e anche esterno. Ci sono sempre stati e forse sempre ci saranno. Dieci anni fa gli Usa applicavano alle auto europee un dazio del 2,5% mentre il nostro sulle loro era del 10%. Sul vino applicavano da 5 a 20 centesimi al litro, ma poi nel 2019 passarono al 25% su quelli francesi, spagnoli e tedeschi nell'ambito di una contesa nata tra Airbus e Boeing, mentre quelli italiani ne furono risparmiati. Nel frattempo il whiskey americano veniva gravato da noi del 25%. Questo per dire che i dazi sono lo strumento con cui la politica regola alcune relazioni economiche internazionali. Nel secolo scorso c'era l'accordo GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) che nel 1995 è diventato il WTO (World Trade Organization).
Fin qui la politica americana. Come può e deve reagire l'Europa? Un'opzione è rispondere ai dazi con altri dazi: «L'Ue proteggerà sempre le aziende, i lavoratori e i consumatori europei dai dazi ingiustificati. Siamo il più grande mercato libero del mondo». Non è un'idea peregrina a patto che la finalità ultima sia di trovare un accordo, perché sempre cugini siamo e a farci del male tra noi ne beneficerebbero altri. Possiamo fare anche altro, però, come alleggerire industrie e lavoratori dai vincoli e pesi del Green Deal.
Sull'energia, per dire, paghiamo una tassa del 25% derivante
dall'ETS (Emissions Trading System) per illuderci di salvare il pianeta scoraggiando le emissioni di CO2. Ecco, se magari invece decidessimo di incoraggiare le esportazioni, allora sì sarebbe MEGA (Make Europe Great Again).
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