Ci sono voluti anni, anni di insabbiamenti, anni in cui più che della caccia ai colpevoli sembrava che la giustizia si occupasse di demolire la credibilità della vittima.
Il prossimo 26 settembre, a Milano, la storia di Miriam - la donna che ha denunciato gli stupri e le persecuzioni della banda di satanisti guidata dal padre adottivo - arriva a una svolta cruciale. Davanti al giudice preliminare Sofia Fioretta dovranno comparire i due coniugi che Miriam indica come i protagonisti del suo inferno: sono Fabio Bertin, imprenditore discografico varesino, e sua moglie Rosa Stefanazzi. Il pubblico ministero Stefano Ammendola, del pool antimafia milanese, ha chiesto il loro rinvio a giudizio per riduzione in schiavitù e stupro aggravato. «Finalmente - dice Massimo Rossi, l'avvocato di Miriam - abbiamo trovato un magistrato capace di riconoscere quanto emergeva fin dal primo momento: la mia assistita ha sempre detto la verità».
L'elenco dei magistrati che non hanno creduto alle denunce della donna è lungo: a partire da Antonino Nastasi, allora pm a Siena, oggi titolare a Firenze dell'inchiesta su Matteo Renzi. Certo, i racconti di Miriam erano così terribili che un moto di incredulità poteva essere naturale. Ma bastava cercare i riscontri, come ha fatto alla fine la Procura di Milano, e le prove sarebbero venute fuori.
Uno degli episodi più raccapriccianti, la ricucitura della vagina praticata dalla setta dopo una violenza di gruppo, è stata confermata da una perizia medica. L'ombra delle messe nere, dei rituali satanici che accompagnavano gli stupri, ha avuto anch'essa un riscontro: allo stesso indirizzo dei coniugi Bertin c'è un gruppo di adoratori del demonio.
Anche a Milano, dove il fascicolo è approdato alla fine, il percorso dell'inchiesta è stato accidentato. L'anno scorso, accogliendo il ricorso di Bertin e della moglie, il tribunale del Riesame annullò il divieto di avvicinamento ottenuto dalla procura: Miriam non è credibile, scrissero i giudici. Miriam affidò al Giornale la sua reazione: «Paura è poco. Sono terrorizzata. Bisogna fermarli. Non lo dico solo per me. Ci sono state altre vittime e altre ce ne saranno. Perché fino ad ora loro sono rimasti intoccabili».
La Procura non si è arresa, ha continuato a scavare, e ora arriva alla conclusione: le prove ci sono, Bertin - che, va ricordato, ingravidò Miriam appena gli fu assegnata dal tribunale dei minorenni, eppure ha continuato a ricevere ragazzini in affido - e la moglie sono colpevoli, insieme ai complici non identificati delle messe col crocifisso capovolto e i cappucci.
I due, scrive il pm Ammendola nella richiesta di processo, «esercitavano sulla stessa poteri corrispondenti al diritto di proprietà e la mantenevano in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni sessuali e a subire violenze sessuali anche di gruppo». I reati addebitati ai due coniugi iniziano in provincia di Varese e proseguono in Toscana, dove la giovane donna si era rifugiata per sottrarsi alle loro grinfie, e dove venne localizzata.
E anche lì accadono cose che sembrano confermare una rete di sostegno ai suoi persecutori, un carabiniere mandato a perquisire Miriam - fragile, disperata - la mette di nuovo incinta: dai tabulati telefonici risulteranno centinaia di contatti tra il militare e Bertin, il padre-padrone di Miriam.
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