Hanno provato in tutti i modi a farla passare per una poco di buono, per una sorta di performer del sesso desiderosa di ripassarsi uno dopo l'altro quattro ragazzi diversi sullo stesso letto. Ciro Grillo, figlio di Beppe, e i tre coetanei che erano con lui nell'estate del 2019 nella villa del comico in Costa Smeralda, quando si sono ritrovati accusati di violenza carnale di gruppo si sono difesi come spesso accade: dando la colpa alla vittima. La Procura di Tempio Pausania, però, non gli ha creduto. E - sebbene con tempi inverosimilmente lunghi - si starebbe preparando a chiedere il rinvio a giudizio per i quattro indagati.
Nel capo di incolpazione, citato ieri dall'Adnkronos, si dice senza mezzi termini che la giovane è stata «costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno», «afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka», «costretta ad avere rapporti di gruppo». La lucidità della vittima «risultava enormemente compromessa» quando è stata «condotta nella camera matrimoniale dove gli indagati» l'avrebbero costretta ad avere «cinque o sei rapporti» completi. Mentre tutto questo avveniva, nell'appartamento accanto si trovava la moglie di Grillo, Parvin Tadjik, che quando è stata interrogata dagli inquirenti ha detto di non essersi accorta di nulla.
La Procura di Tempio ha impiegato un anno e mezzo per fare le indagini preliminari; a novembre dello scorso anno ha inviato agli indagati l'avviso conclusivo; dopo quindici giorni avrebbe potuto chiedere il rinvio a giudizio, Invece sono passati sei mesi e non è accaduto nulla. Ma se fosse stata chiesta l'archiviazione la vittima sarebbe stata avvisata. E ora la richiesta di processo pare imminente.
Perché si arrivasse a questo punto, S.J. - la ragazza di origini svedese che ha denunciato lo stupro - ha dovuto affrontare un controprocesso preventivo, dimostrare di non essere stata consenziente alla notte di sesso col quartetto. Uno dei giovani, per esempio, ha filmato con il suo cellulare una parte dei rapporti sessuali, e alcuni fotogrammi o brevi sequenze estratte dai video sono stati depositati dagli avvocati ai pm per dimostrare che S.J. né veniva costretta né si ribellava. «Ci siamo trovati davanti - racconta Laura Panciroli, il legale che ha assistito la ragazza nella prima fase - a luoghi comuni che nessuna battaglia culturale sembra avere scalfito: se una vittima non urla allora è d'accordo, se non vengono strappati i vestiti allora non c'è violenza. Purtroppo sappiamo bene che non è così che funziona. Scatta la paura, scatta la paralisi».
Esattamente quanto accade nella villa in Costa Smeralda nel 2019. Durante le indagini le difese hanno sostenuto anche che la denuncia non è attendibile perché la ragazza aspetta quattro giorni prima di sporgere denuncia. Ma i quattro giorni sono semplicemente il periodo che separa la vittima dal ritorno a Milano. Quando torna in famiglia, i genitori si accorgono subito che qualcosa non va. Sono loro i primi cui S.J. sceglie di raccontare quanto è accaduto in Sardegna. Subito dopo, ripete il racconto ai carabinieri della compagnia Duomo: nessun ritardo, dunque. Ma tutto viene usato contro di lei. Persino le foto che posta dopo qualche tempo sul suo profilo, che la mostrano sorridente in vacanza con la famiglia, o i video in cui torna a fare sport: per le difese, dimostrano che la studentessa non è poi traumatizzata come dice.
Ma le immagini
riprese col cellulare e usate dai quattro maschi per screditare S.J. si sono rivelati un boomerang: dopo averli analizzati, la Procura ha scoperto che anche l'amica che era con la studentessa è stata abusata mentre dormiva.
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