«Dovete abbandonare questa mentalità da Guerra Fredda», aveva avvertito l'uomo ai vertici della diplomazia cinese, Yan Jiechi, nel primo vertice Usa-Cina chiuso lo scorso week end in Alaska. A 48 ore dal summit è invece guerra sempre più fredda tra il blocco occidentale composto da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Canada e la controparte cinese. È una nuova battaglia, sui diritti umani, consumata mentre è in corso l'escalation della nuova Guerra fredda tra Usa e Russia e mentre Pechino e Mosca sono intente a rafforzare l'asse russo-cinese.
Quella delle ultime ore è una cronaca di azioni e rappresaglie che sono anche il simbolo di quanto lo scontro tra i due blocchi, per quanto permeato da enormi interessi economici, sia ancora un conflitto geopolitico rivelatore di due opposte visioni dello Stato. Tutto è cominciato con l'approvazione di un nuovo ciclo di sanzioni da parte dei ministri degli Esteri europei per violazioni dei diritti umani in Cina (oltre che in altri cinque Paesi: Myanmar, Nord Corea, Libia, Sud Sudan ed Eritrea). Il sistema è lo stesso adottato con la Russia per il caso dell'oppositore politico di Vladimir Putin, Alexey Navalny. Colpiti quattro dirigenti della Repubblica Popolare Cinese (Zhu Hailun, Wang Junzheng, Wang Mingshan e Chen Mingguo) con il congelamento dei beni detenuti nell'Ue e il divieto di viaggiare al suo interno. Le misure, sposate con qualche variazione anche da Usa, Gran Bretagna e Canada, sono giustificate dal loro coinvolgimento nelle detenzioni di massa degli uiguri, minoranza musulmana nella provincia di Xinjiang. Unico Paese europeo a osteggiarle e a rievocare il clima da Guerra Fredda è stata l'Ungheria, che le ha definite «dannose».
La decisione europea ha mandato Pechino su tutte le furie e scatenato la rappresaglia. Il governo cinese ha inserito a sua volta 10 eurodeputati e quattro «enti» nella sua lista nera. Divieto di entrare nella Cina continentale, a Hong Kong e Macao e di fare affari con la Cina alle aziende e alle istituzioni associate. Tra i quattro organismi sanzionati ci sono il Comitato politico e di sicurezza dell'Ue, la sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, l'Istituto Mercator per gli studi sulla Cina in Germania e la Fondazione Alliance of Democracies in Danimarca. Agli europarlamentari (due tedeschi, un francese, un bulgaro, una slovacca, un olandese, un belga e una lituana) si aggiungono lo studioso tedesco Zenz e lo svedese Jerdén. «Danneggiano gravemente la sovranità e gli interessi della Cina» e «diffondono menzogne e disinformazione», sentenzia Pechino.
Tanto è bastato per surriscaldare il clima e far gridare al regime le istituzioni europee. Davide Sassoli, presidente dell'Europarlamento, ha avvertito che le sanzioni «sono inaccettabili e avranno conseguenze». La ragione principale è che «colpiscono eurodeputati e organi del Parlamento per aver espresso opinioni mentre esercitavano il loro dovere democratico. I diritti umani sono diritti inalienabili». Michel Borrell gli ha fatto eco - «misure deplorevoli» - ma ha lanciato l'amo: «La Cina la smetta di essere conflittuale. Vogliamo che si impegni in un dialogo sui diritti umani». Proposta rigettata più volte da Pechino.
Lo scontro si è presto trasformato in una battaglia anche sui valori fondanti dei due blocchi, con il capogruppo del Partito Popolare europeo all'Europarlamento, Manfred Weber, fra i più duri nel commentare la mossa cinese: «Attaccare membri del Parlamento liberamente eletti mostra il disprezzo che Pechino nutre per la democrazia. Non ci lasceremo intimidire. Le misure dell'Ue contro la Cina hanno il nostro pieno appoggio».
Come se non bastasse da Guilin, nella Cina meridionale, dove fino a oggi è in visita ufficiale il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, arrivano segnali inequivocabili. Pechino e Mosca si esprimono compatte per sollecitare gli Stati Uniti a interrompere gli atti di «bullismo unilaterale», a «smettere di interferire negli affari interni di altri Paesi», con l'invito a «riflettere sui danni arrecati alla pace e allo sviluppo globali».
Quanto alle sanzioni, per ridurne i rischi, Lavrov ha chiesto alla Cina di rafforzare l'autonomia dell'industria scientifica e tecnologica, di promuovere un allontanamento dal dollaro americano, di favorire la valuta locale o altre internazionali e di emanciparsi dal sistema di pagamento internazionale controllato dall'Occidente. Le tensioni crescono, i due blocchi si allontanano e l'asse russo-cinese si rafforza.
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