Milano Per la prima volta l'unica opera-simbolo della modernizzazione italiana, l'Alta velocità ferroviaria, dimostra tragicamente la sua vulnerabilità. È uno choc per il Paese. Ma ancora più choccante è lo scenario che nel giro di poche ore dallo schianto apre l'indagine della Procura di Lodi, reso noto nella conferenza stampa del suo capo, Domenico Chiaro: «Stiamo verificando l'ipotesi dell'errore umano». Un'opera costata miliardi di euro, dicono i primi passi dell'inchiesta, può trasformarsi in trappola mortale per un semplice «errore umano».
Nel mirino, ormai è chiaro, ci sono i lavori di manutenzione effettuati nella notte tra mercoledì e giovedì proprio nella tratta della Tav dove è avvenuto lo schianto. È il pezzo (relativamente) più antico dell'alta velocità, inaugurato dodici anni fa: binari praticamente nuovi, e sottoposti a controlli costanti. Ma mercoledì notte qualcosa va storto. «Uno scambio era in una certa posizione e così non doveva essere», dice il procuratore Chiaro. Secondo quanto si apprende in serata, lo scambio era in posizione di deviata (tecnicamente detta «a rovescio») mentre in stazione risultava «dritto». Così nella loro cabina di guida, Giuseppe Cicciù e Mario Dicuonzo, vedevano solo il limite di velocità massima fissato sui 300 all'ora. Il treno avrebbe affrontato il tratto senza rallentare e l'improvviso cambio di direzione l'avrebbe sparato fuori dai binari.
Potrebbe trattarsi, banalmente, di un problema di cavi connessi erroneamente al termine dell'intervento notturno. Ma è chiaro che se questa sarà la pista imboccata dall'indagine rischia di investire responsabilità ad alto livello, con la Procura chiamata a verificare se e quali misure avrebbero potuto essere piazzate in fase di progettazione e realizzazione per proteggere una infrastruttura simile dal banale, inevitabile errore umano.
Per ora, la preoccupazione maggiore degli inquirenti sembra fugare l'ombra che nelle prime ore aveva fatto il suo ingresso in scena, ovvero l'attentato. La Procura antiterrorismo di Milano si è effettivamente mossa, pronta a entrare in campo se dai rilievi fossero emersi elementi di un sabotaggio (e non sarebbe stata la prima volta che la Tav veniva presa di mira). Invece appena sui binari sono saliti i tecnici del nucleo speciale della Polfer, l'attenzione è stata richiamata subito dallo scambio attivato, a circa un chilometro di distanza dal punto in cui la locomotiva è andata a fermarsi. «Indaghiamo per omicidio colposo, disastro colposo e lesioni: se ipotizzassimo un atto deliberato i reati sarebbero altri», spiega il procuratore.
Primo passo il sequestro dei binari interessati all'incidente. Ma subito dopo, a conferma della strada che sta prendendo l'indagine, l'identificazione della squadra di operai che aveva operato nella notte. «Sappiamo tutto - dice il procuratore - è tutto registrato e catalogato. Credo che non fosse un appalto esterno ma un servizio interno, personale delle Ferrovie dello Stato». Più specificamente, il magistrato sembra riferirsi a Rfi, l'azienda delle Fs che ha la proprietà e la gestione della linea. E che aveva disposto l'intervento notturno: su quello che è uno dei tratti ferroviari più rettilinei del mondo ma dove ogni tanto gli scambi sono necessari per consentire ai treni di accedere a piazzole di servizio.
I nomi dei tecnici ci sono già, i magistrati sanno anche se e quando la squadra ha comunicato la «fine lavori», il messaggio che di fatto riapre la linea alla circolazione. Alcuni sono già stati interrogati. Come per la tragedia di Pioltello del 2018, e prima ancora per il disastro di Viareggio nel 2009, nel percorso dell'inchiesta si annuncia una lunga battaglia di perizie e controperizie.
«Ma da quelle vicende - spiega ancora Chiaro - viene anche il know how investigativo che abbiamo iniziato a mettere in campo già due ore dopo il fatto». L'unica cosa certa, dice, è che «se lo scambio fosse stato sul dritto per dritto il treno non sarebbe deragliato. Invece la motrice è schizzata a trecento all'ora andando a sbattere qua e là».
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