Suicida l'attivista Lgbt egiziana. Fu torturata per la bandiera gay

Sarah Hijazi aveva 27 anni e viveva in Canada. La lettera al mondo: "Sei crudele, ma ti perdono"

Suicida l'attivista Lgbt egiziana. Fu torturata per la bandiera gay

Sarah Hijazi, 30 anni, era sorridente e felice quel giorno di ottobre del 2017 durante il concerto della band libanese Mashrou Leila. Il cantante del gruppo, Hamed Sinno, è apertamente gay e si erge a difensore dei diritti degli omosessuali. In quell'occasione Sarah aveva sventolato una bandiera arcobaleno simbolo del movimento Lgbt. Sarah è stata tra le dozzine di persone arrestate dalle forze di sicurezza egiziane in quell'occasione. Era stata accusata di «promuovere la devianza e la dissolutezza sessuale». Un altro studente di giurisprudenza, Ahmed Alaa, era stato anche arrestato con lei e accusato di «unirsi a un gruppo in contrasto con la legge». «È stato un atto di sostegno e solidarietà - non solo verso il cantante Mashrou Leila ma per tutti coloro che sono oppressi», aveva detto Sarah. «Siamo stati orgogliosi di sventolare la bandiera. Non avremmo mai immaginato la reazione della società e dello stato egiziano. Per loro, ero una criminale, qualcuno che cercava di distruggere la struttura morale della società».

Stuprata e torturata in carcere in Egitto, dopo pressioni internazionali era stata rilasciata un anno fa su cauzione e viveva in esilio in Canada assieme ad Ahmed. Ma Sarah non ce l'ha fatta a sopportare le umiliazioni e violenze subite. E si è tolta la vita nel suo appartamento. Ha lasciato un biglietto per chiedere alla sua famiglia e ai suoi amici di perdonarla. «Ai miei fratelli: ho cercato di trovare la redenzione e ho fallito, perdonatemi», ha scritto nella lettera. «Per i miei amici: l'esperienza è stata dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi». «Per il mondo: sei crudele, ma io ti perdono». Sarah ha sofferto di disturbo post traumatico da stress causato dai maltrattamenti subiti durante la sua prigionia. Questo l'aveva portata già a un tentativo di suicidio, però fallito.

Sebbene l'omosessualità non sia vietata in Egitto, il Paese è caratterizzato da una società conservatrice e la discriminazione nei confronti dei gay è diffusa. Gli omosessuali sono spesso arrestati e accusati di dissolutezza, immoralità o blasfemia. Sono sottoposti a esami per verificare se hanno avuto rapporti sessuali omosessuali. Ong per i diritti umani, Amnesty International e Human Rights Watch sostengono che si tratti di una forma di tortura.

È l'ennesima tragedia dopo quella di Giulio Regeni e dello studente Patrick George Zaki, 27 anni, attivista e ricercatore all'università di Bologna, arrestato ormai 4 mesi fa. Zaki è accusato di sovversione e rischia addirittura l'ergastolo. Per il giovane, il 12 giugno si è tenuta una manifestazione in Piazza Maggiore a Bologna, sotto lo slogan «rivogliamo Patrick e denunciamo ogni accordo tra lo Stato italiano e il regime» egiziano.

Ora al mondo invece non rimane che l'aria spensierata e felice di Sarah in alcune foto che la ritraggono serena. I suoi occhi vivaci dietro i suoi occhialetti rotondi da cui guardava le cose in modo diverso. E per cui è stata punita. Gli attivisti le hanno reso omaggio sui social media, usando l'hashtag #RaiseTheFlagForSarah.

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