Per non perdere la strada basta seguire l'acqua. Forse non sarà un vecchio adagio da esperti camminatori, ma per la via Francisca del Lucomagno è un detto che vale. Perché questo nuovo Cammino che in otto tappe attraversa la Lombardia dal confine svizzero sul lago Ceresio fino al centro di Pavia è un cammino d'acque. In quasi 140 chilometri costeggia laghi, attraversa fiumi, segue il corso di un paio di navigli e arriva sul Ticino, per poi confluire nella Via Francigena e proseguire per Roma, scavallando il Po a Corte Sant'Andrea. Luogo che per secoli è stato il porto d'imbarco del Transitum Padi, il traghetto che gli antichi pellegrini utilizzavano per attraversare il più grande fiume italiano.
La sua storia recente è figlia un progetto territoriale di cinque anni fa, ma la storia remota di questo cammino si perde nei secoli. La via Francisca del Lucomagno è un percorso storico di oltre 500 chilometri che unisce la Germania e l'Italia, il lago di Costanza con la pianura Padana. Oggi parte da Costanza, sulle rive meridionali del Bodensee; tocca prima San Gallo con la sua gloriosa abbazia e poi Coira capitale dei Grigioni e, dopo aver attraversato l'intero Canton Ticino da Est a Ovest, entra in Lombardia a Lavena Ponte Tresa. Una via che tra il X e il XIII secolo è stata percorsa da re e imperatori, tra cui Federico Barbarossa, che utilizzò il valico del Lucomagno per le scorribande in terra italica.
Come spesso accade nella topografia storica, è proprio il valico che dà il nome al Cammino: il Lucomagno si trova nella parte orientale delle Alpi Lepontine ed è il passo più «basso» e accessibile delle Alpi: si scavalla a soli 1.977 metri, seguendo quella che un tempo era considerata la via più agevole (e aperta dodici mesi l'anno) per arrivare dalla valle del Reno alla Lombardia. L'alternativa era il passo Spluga, in Valchiavenna, che però è più alto (2.115 metri) e sul percorso presentava due gole, la Via Mala e il Cardinello, per secoli terrore dei viaggiatori. Fin dal VII secolo il passo divenne territorio di proprietà del Claustra da Mustér, l'abbazia benedettina di Disenis, nei Grigioni, che ne controllava i traffici e curava la manutenzione, costruendo ospizi sul passo e «caravanserragli» nelle valli di accesso. Quando nel XIV secolo venne migliorato lo stretto sentiero che risaliva il Gottardo, il Lucomagno perse progressivamente importanza, come accadde per tutta la via, soprattutto dopo la costruzione, nel 1846, del ponte di Melide sul lago di Lugano.
Dal lato svizzero oggi è un percorso escursionistico ben tenuto e segnalato come da tradizione elvetica, con frequenti incroci con le onnipresenti fermate degli autopostali che permettono di raggiungere facilmente i vari paesi dove dormire, anche se certo non a prezzi da pellegrini. Per anni la via era monca del tratto finale in territorio italiano, che adesso è finalmente sistemato. Si parte idealmente dalla frontiera sul fiume a Laveno Ponte Tresa, per poi proseguire tre le colline coperte di boschi di castagni e faggi che dolcemente salgono verso la val Ganna e la medievale badia di S. Gemolo, dove finisce la prima tappa.
Per i primi due giorni, in parte si cammina all'interno del Parco regionale del Campo dei fiori nel tratto naturalisticamente più esuberante e solitario dell'intero percorso, che poi scende verso le zone densamente antropizzate della pianura. Il secondo giorno si sale fino alla cima del Sacro Monte di Varese, dopo un paio di chilometri di acciottolato e 14 cappelle si arriva al santuario di Santa Maria del Monte, che con i suoi 844 metri è il punto più alto di tutta la parte italiana del percorso. Da qui si scende, prima fino a Varese, dove termina la seconda tappa, poi verso Castellanza e via via fino a Pavia. Un percorso che si penserebbe ordinario al limite del noioso, una gimcana senza asperità tra villette e capannoni, strade trafficate e ritagli di verde sopravvissuto all'eccesso di urbanizzazione.
Invece percorrere la parte di pianura della Via Francisca del Lucomagno diventa un modo per scoprire da una prospettiva nuova il paesaggio lombardo. Lasciata Castiglione, si cammina nella valle del fiume Olona fino a Castelletto di Cuggiono, tra resti d'epoca longobarda (il parco archeologico di Castelseprio con il monastero di Torba) e archeologia industriale diffusa, costruzioni arrugginite come cattedrali abbandonate sorte lungo l'ex ferrovia della Valmorea, che fino agli anni Settanta univa Castellanza con Mendrisio, in Ticino, ed ora è una ciclabile. Certo, il limite è che si cammina spesso su asfalto, percorrendo le ciclabili sulla vecchia massicciata e sulle alzaie dei navigli. Fastidioso per i talloni anche se rende possibile anche la versione ciclabile del cammino.
Da Castelletto si attraversa la grande pianura irrigua tra filari di mais e le prime risaie, seguendo il corso del Naviglio Grande fino ad Abbiategrasso e poi, nella tappa successiva, il naviglio di Bereguardo, con una piccola deviazione per vedere dove questo paesaggio è stato disegnato, all'abbazia di Morimondo. Da qui Pavia è a un passo, una ventina di chilometri semplici su strade secondarie bordate di alberi prima e sulla ciclabile del Ticino nell'ultimo tratto. Difficile perdersi, basta seguire l'acqua.
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