Suocera malefica, per avvelenare me intossichi tua figlia

La prima fallita qui sei tu, e non io

Suocera malefica, per avvelenare me intossichi tua figlia

Cara suocera,

ho pensato a lungo prima di rispondere alla tua lettera. Non per vigliaccheria, come tanto penserai tra poco per consolarti; ma perché argomentare attorno alle tue affermazioni, ai tuoi giudizi così pregni di sicumera, alle tue deduzioni livorose, mi ha di nuovo costretto a interrogarmi sui grandi errori che ho compiuto. Primo dei quali, entrare in una famiglia dove una donna insoddisfatta della propria vita sentimentale ha preteso di impadronirsi della vita della figlia e dell'uomo che ha sposato.

Lo so che ti dà fastidio ricordartelo, e che sminuirai queste mie parole come un biglietto rancoroso rispedito al mittente, ma la prima fallita qui sei tu, e non io. Quando provi a darmi lezioni sul tradimento stai parlando prima con tuo marito, e poi con me. Hai avuto una grande forza d'animo, te lo riconosco, a soffocare sotto il cuscino dell'obbligazione morale il peso della sua infedeltà ripetuta e impudica. Sei una donna coraggiosa, chi lo nega. Una donna d'altri tempi, di una borghesia ormai quasi estinta, quella che sapeva lavare i panni sporchi - e, in questo caso, le lenzuola sporche - in casa propria, senza dare spettacolo, senza sfasciare matrimoni per le marachelle di un cinquantenne infedele. L'hai fatto anche tu, nobilitando di valori l'ipocrisia del far finta di niente.

Questione di scelte. Io ho scelto diversamente e, a differenza di ciò che dici, mi sono assunto la responsabilità di abbandonare comodissime certezze e ricominciare tutto da capo. Che ne sai tu di quello che provo? Che ne sai di quello che sento tutte le volte che mi corico e penso alla casa che ho comprato io, investendo tutti i soldi che avevo, e in cui oggi non posso entrare se non con il permesso di tua figlia e del suo nuovo compagno che dorme nel letto che ho acquistato quand'eravamo ancora fidanzati? Lascia perdere, evita giudizi affrettati e non distribuire sentenze.

I tempi sono cambiati, cara la mia (quasi ex) suocera. Oggi il matrimonio è un patto che si regge in piedi fin quando esistono l'amore, la passione, la condivisione. Vale per gli uomini e vale per le donne. Ci assumiamo l'onere e il rischio dell'autenticità, vogliamo essere sinceri fino in fondo. E, sinceramente, mi stupisce che la tua ansia proprietaria, la tua ambizione di disporre della vita della mia famiglia come cosa tua, ti condizioni al punto di cancellare intere porzioni di una storia e conservare al ricordo solo ciò che ti serve per darti ragione.

E quello che hai dimenticato te lo ricordo io, ora, visto che mi costringi a scavare di nuovo nel dolore. Sai perfettamente che io ed Elisa non dormivamo assieme da cinque anni, che avevamo smesso di fare l'amore, che ormai eravamo due fantasmi delle nostre passioni costretti a vivere sotto lo stesso tetto per non recare danno a nostra figlia e dispiacere ai genitori. Per mere ragioni di rispettabilità sociale, in fin dei conti. Ci ho provato, ci abbiamo provato: siamo andati da un prete, abbiamo speso pomeriggi in terapia di coppia, abbiamo anche tentato di rinnovare l'antico fuoco della passione concedendoci dei weekend da fidanzatini. È stato tutto inutile: quando il germe dell'estraneità si insinua dentro una coppia, è quasi impossibile scacciarlo. A quarant'anni cominci a fare bilanci e progettare per la tua seconda età: io ho avuto la forza di chiudere una vicenda che si sarebbe trascinata stancamente per quanto ancora? Un anno, due, tre, in mezzo a discussioni ancora più feroci.

Quanto ti conviene darmi del bambino viziato e scavezzacollo che insegue gonnelle giovani. Troppo comodo. Se fossi sincera, chiederesti la verità delle cose a tua figlia evitando, come hai sempre fatto, di metterti a parlare e ragionare al posto suo, continuando a trattarla come una bambina.

Ed è proprio questo che non riesco a perdonarti. Non la tua protervia. Non la tua arroganza. Non la tua sfacciata manipolazione del passato. No, non ti perdono il male che hai fatto a tua figlia, scaricandole addosso il peso dei tuoi sogni infranti e impedendole di rendersi autonoma. Se esiste una causa del disastro del mio matrimonio, quella sei tu. Quando lo capirai, per Elisa sarà già troppo tardi.

Ho amato tua figlia, l'ho amata profondamente. Ho buttato sangue per renderci felici. Ho creduto che fosse per sempre. Non ci sono riuscito, non ci siamo riusciti.

Adesso sto provando, nell'interesse della nostra unica figlia e per rispetto al periodo più bello della mia vita, di ricucire i rapporti con Elisa. Dunque, ti scongiuro: per una volta, fatti da parte. Sarà meglio per tutti.

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