A 30 anni di distanza dagli attentati che hanno scosso le province di Pordenone, Udine, Treviso e Venezia c'è un Dna, forse quello di Unabomber. Tracce genetiche che potrebbero aiutare gli investigatori ad individuare il responsabile degli atti dinamitardi che sconvolsero il nord-est dal 1994 al 1996 e dal 2000 al 2006. Anni in cui il misterioso bombarolo posizionò una trentina di ordigni in luoghi aperti al pubblico causando menomazioni e lesioni alle vittime.
La possibile svolta di una vicenda rimasta avvolta nel mistero per tanti anni, è stata possibile grazie alle nuove tecniche investigative che hanno consentito un'analisi più completa e approfondita di alcuni reperti. Si tratta di formazioni pilifere celate da una bomboletta di stelle filanti, un uovo, un tubo filettato, nastri isolanti sequestrati intatti da confezioni di pomodoro e di maionese, rilievi dattiloscopici, un inginocchiatoio, una scatoletta di sgombro, un congegno inserito sotto la sella di una bicicletta, una bottiglia di Coca Cola. I progressi della scienza hanno evidenziato in alcuni di essi un Dna mitocondriale che in passato non era stato isolato, dando un nuovo impulso ad un'indagine riaperta di recente su sollecitazione di un giornalista e di due delle vittime, che hanno chiesto e ottenuto di riesaminare, appunto, alcuni reperti trovati sui luoghi degli attentati. Adesso il Dna sarà confrontato con quello dei sospettati. Sono 32 le persone (di cui una deceduta) che compaiono nel fascicolo processuale, molte delle quali hanno già acconsentito al prelievo. Tra loro anche due personaggi già noti, i fratelli Elvo e Galliano Zornitta. Il primo dei quali, un ingegnere di Corva di Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, è stato indagato per anni nella vicenda, sospettato per lungo tempo di essere Unabomber, catapultato in un'indagine che coinvolse cinque Procure e schiacciato dalla pressione mediatica. Al punto di tentare il suicido, salvo poi essere scagionato. Il suo storico avvocato, Maurizio Paniz, ha espresso perplessità sugli sviluppi dell'indagine. Non solo perché non è stato avvertito né dalla Procura né dal giudice per le indagini preliminari, ma anche perché a distanza di così tanto tempo non si conosce lo stato di conservazione dei reperti analizzati. Per effettuare le comparazioni, comunque, i periti Giampietro Lago ed Elena Pilli, quest'ultima già consulente nel caso Yara Gambirasio, hanno chiesto al Tribunale una proroga di due mesi. Poi comincerà la battaglia in aula.
«Era già stato ripetutamente estratto un Dna di Unabomber, quindi non so quale ulteriore approfondimento sia stato fatto, quali nuovi accertamenti», commenta l'avvocato Paniz, anticipando di essere stato sempre felice di qualsiasi indagine e approfondimento.
Per il legale è «inconcepibile che escano notizie che hanno determinato le pagine dei giornali di oggi e la difesa non ne sappia niente. Mi fa sorridere il fatto che i giornali scrivano fitto riserbo degli investigatori, mi chiedo allora come siano uscite queste notizie».
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