La riforma dell'imposta personale sul reddito che il governo si appresta a fare non è degna di questo nome, è una «deforma». E come si dice nel dialetto padovano- «xe peso el tacon del buso», è peggio la pezza del buco. L'idea pseudo geniale, di questi dilettanti è quella di finanziare la riforma tagliando retroattivamente le «spese fiscali» cioè le agevolazioni tributarie. Nel mirino c'è la detrazioni fiscale per i contribuenti fra 55mila e 75mila euro annui per le spese mediche e sanitarie, per gli interessi sui mutui immobiliari (tassare la casa è un tic della sinistra che si auto definisce democratica), per gli asili nido (il bimbo dei papà e delle mamme che hanno un po' di denaro o se lo tolgono per darlo a lui, non va favorito), per l'istruzione e i corsi universitari, per la frequenza a palestre e centri sportivi, per le spese veterinarie. Il taglio retroattivo, non riguarda solo le detrazioni fiscali future, ma tutte quelle passate e anche quelle che partono nel 2020, con effetti negativi sull'economia. Inoltre il taglio non riguarda solo le famiglie plurireddito, riguarda anche quelle monoreddito ed è eguale a parità di costo della vita, di età, e probabilmente, di figli a carico. Riguarda ogni specie di reddito, anche quello dei pensionati, inclusi quelli a cui sono state tagliate le pensioni. I 55mila euro annui divisi per 13 mensilità fanno 4.230 euro al mese. Per una famiglia monoreddito, che abita in una grande o media città, con un costo della vita elevato o abita in città o un paese vicino e per il lavoro e lo studio pratica il pendolarismo, si tratta di una somma, che tolto il mutuo per la prima e la seconda casa e altre spese a rate (esempio l'automobile), basta appena a una vita decorosa. Ciò anche perché se i figli crescono bisogna dar loro una paghetta. Se vanno alle superiori e all'università bisogna pagare libri e attrezzature elettroniche.
La tassazione retroattiva è in linea di principio incostituzionale, perché viola il principio di capacità contributiva ed è in generale dannosa perché toglie certezza alle scelte e mina il rapporto di fiducia del contribuente col fisco, già scarseggiante. Ma poiché la giustizia è bendata e l'occhio sinistro vede più del destro, si sostiene che se si toglie un esonero dato nel passato, con rate scagionate nel tempo, non vi è incostituzionalità se il reddito attuale e futuro ha capacitò contributiva. Ossia, non importa se una persona, che ha 55mila euro annui di reddito o di più, ha fatto una spesa di 100, contando su un esonero fiscale che riduce l'onere delle rate. La famiglia che, a causa di quel reddito, appartiene al ceto medio basso o medio non ha diritto alle tutele costituzionali. Lo stato di diritto va messo in soffitta, la legge non è eguale per tutti. Le spese fiscali che si vogliono tosare non sono migliori di molte delle spese del governo.
La priorità dovrebbe essere il taglio delle spese malsane e la crescita, con più investimenti e più libertà di contratto nel lavoro. Non si può pretendere di migliorare il futuro, sovvertendo le certezze sul passato. Tanto più ora, che la pandemia ha reso incerto anche il percorso quotidiano.
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