Adesso resta solo la trincea di Firenze. È l'ultima procura italiana, che si sappia, ancora impegnata a coltivare antichi teoremi, sempre gli stessi, e suggestioni di sangue ormai vintage. C'è un'indagine ancora in corso, aperta fra Firenze e Caltanissetta nei lontanissimi anni Novanta, poi spedita in archivio almeno tre volte e riesumata ancora una quarta, nel 2017, spinta avanti sulla cosiddetta zona grigia di Arcore, sui rapporti con boss e padrini, e poi, terribile a dirsi, sui mandanti esterni delle stragi. È spaventoso ma in Italia si indaga più o meno da un quarto di secolo su un ex presidente del consiglio che insieme all'amico Marcello Dell'Utri, presunto ambasciatore nel regno oscuro della mafia, avrebbe in qualche modo assecondato la stagione delle bombe e dei morti, fra il '93 e il '94. Una storia che si intreccia con la presunta trattativa Stato-mafia, sconfessata definitivamente dalla Cassazione, ma che trova il suo retroterra altrove, ancora più indietro, in una sorta di peccato originale del Cavaliere che, fra gli anni Settanta e Ottanta, avrebbe ricevuto i capitali da Cosa nostra.Due filoni in particolare tengono vivi questi faldoni, come ha documentato il Foglio: i soldi che il Cavaliere avrebbe ricevuto dai boss e quelli che avrebbe elargito a Dell'Utri per comprare il suo silenzio. Il primo segmento, a quanto si sa, avrebbe trovato nuova linfa in un verbale del boss Giuseppe Graviano, in carcere da quasi trent'anni, che avrebbe parlato di un investimento del nonno, datato anni Settanta, dentro la Fininvest da venti miliardi di lire. Riscontri, naturalmente, non ce ne sono: monumentali perizie e precedenti investigazioni hanno sempre escluso qualunque contiguità fra Arcore e i clan e non si è mai trovato lol straccio di un documento che provasse l'origine mafiosa dei denari o un qualche collegamento fra l'imprenditore e i capi di Cosa nostra. Ora c'è quest'ultimo capitolo, assai scivoloso, della famosa foto che Massimo Giletti avrebbe visto da lontano e in un luogo buio e in cui avrebbe riconosciuto uno a fianco dell'altro Silvio Berlusconi, Giuseppe Graviano e, già che ci siamo, pure il generale dei carabinieri Francesco Delfino. L'istantanea sarebbe nelle mani ambigue di Salvatore Baiardo, personaggio sdrucciolevole, che un tempo apparteneva alla famiglia dei Graviano e oggi vive in un suo limbo senza essersi pentito. La foto che forse c'è ma forse anche no, fra smentite e allusioni, è l'ultimo presunto mistero della cosmogonia berlusconiana. Un genere che ha riempito biblioteche intere a forza di supposizioni, ma non si capisce come da qui si arrivi poi alla mattanza e alle bombe di Milano e Roma con le chiese distrutte e i morti innocenti. C'è poi, come ha raccontato sempre il Foglio, un secondo pezzo che porta appunto a Marcello Dell'Utri e agli emolumenti che il Cavaliere gli ha concesso a più riprese.Per la procura di Firenze, lo stesso protagonista di un interminabile duello con Matteo Renzi, quelle donazioni erano e sono il prezzo pagato da Berlusconi all'amico per tenerlo fuori dai processi. Già davanti ai giudici di Torino Berlusconi aveva dato una versione più semplice: «Io sono amico fraterno di Dell'Utri, ci siamo frequentati per molti anni, è lui ad aver messo insieme la mia prima squadra di calcio ed ha il merito enorme di aver fondato Publitalia». Ma queste spiegazioni non fanno che alimentare le domande e la curiosità dei pm che tornano sempre là, al mistero dei misteri, al rapporto fra Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore scomparso ormai da un pezzo ma sempre attuale per rilanciare dubbi e presunte indicibili verità.
Da un quarto di secolo si scava sempre nello stesso fazzoletto di presunti segreti, Dell'Utri si è fatto cinque anni di carcere per concorso esterno in mafia, gira e rigira siamo sempre allo stesso punto. Anche se da oggi per Firenze andare avanti sarà ancora più difficile.
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