In politica passare da leader infallibili a incapaci che non ne azzeccano una è un attimo, chiedere informazioni a Matteo Renzi. Dopo anni sulla cresta dell'onda con i consensi passati dal 4% al 34%, anche per Matteo Salvini sembra arrivato il momento critico. I suoi consiglieri iniziano a prendere le distanze dalle ultime mosse del segretario, segno che il mito del capo invincibile si è sciolto al sole agostano. Le probabilità che esca con le osse rotte dalla crisi da lui stesso scatenata sono aumentate. È ormai chiaro che Salvini, dopo aver infilato una successo dietro l'altro, dall'8 agosto scorso - giorno in cui ha aperto la crisi di governo - le ha invece sbagliate tutte o quasi.
Primo errore, ha sottovalutato l'attaccamento al potere di Giuseppe Conte, dando per scontato che il professore - catapultato da una cattedra universitaria a Palazzo Chigi quasi per caso - avrebbe accettato senza colpo ferire la sua richiesta di dimettersi da Palazzo Chigi, agevolando così la corsa verso le elezioni. Sbagliato. Dopo un anno e mezzo a capo del governo, invitato ai summit mondiali alla pari di Trump e Putin, Conte non è più l'oscuro notaio del patto tra Salvini e Di Maio, ma si crede veramente il presidente del Consiglio italiano. In più è un avvocato, quindi di cavilli e regolamenti ci campa, ed è proprio nella gabbia di paletti costituzionali e parlamentari che ha intrappolato Salvini.
Secondo errore, trattare i Cinque Stelle come un partito che vale la metà della Lega. Fatto vero forse fuori dal Parlamento, ma non nei numeri di Camera e Senato fermi al marzo 2018, quando il M5s era il primo partito italiano. Infatti il gruppo parlamentare M5s è il più numeroso, e nel pallottoliere di una crisi di governo sono soltanto quelli i numeri che contano. E questo ci porta al terzo errore.
Aver sottovalutato la capacità del Pd di cambiare radicalmente posizione sui grillini pur di cogliere l'incredibile opportunità di passare nella maggioranza di governo e magari starci per tutta la legislatura. E, allo stesso modo, la capacità di Di Maio e soci di rimangiarsi anni di insulti e guerre a Renzi&Boschi pur di evitare lo scioglimento delle Camere, l'addio al lignaggio ministeriale e un'elezione per loro molto complicata. L'equazione tolgo la fiducia a Conte così si vota, si è rivelata sbagliata.
L'altro errore tattico gliel'ha rinfacciato Giancarlo Giorgetti. Non è quello di aver rotto con i grillini, ma di averlo fatto troppo tardi nel momento sbagliato. Secondo il più ascoltato consigliere di Salvini, la spina andava staccata subito dopo le Europee, quando era chiaro che i rapporti di forza tra Lega e M5s si erano completamente ribaltati. In più non ci sarebbe stato l'alibi della scadenza imminente della finanziria e si sarebbe aperta la finestra del voto in modo più semplice. Il ministro invece ha aspettato, passando le successive settimane a litigare con i grillini ma smentendo a ripetizione l'intenzione di voler rompere il contratto con i Cinque Stelle. Fino a cambiare repentinamente linea ad agosto, dopo aver «scoperto» che il M5s è No-Tav. Un fatto che sapevano anche le pietre della val di Susa.
Altro errore, non aver ritirato la delegazione di ministri leghisti. Operazione che gli avrebbe garantito due cose poter rivendicare davanti al popolo di aver rinunciato alle «poltrone»; ma soprattutto avrebbe tagliato le gambe al governo Conte costringendolo a presentarsi dimissionario al Quirinale. Ennesima superficialità riguarda anche Mattarella.
Salvini pensava che il capo dello Stato si sarebbe limitato a prendere atto della sue decisione di chiudere con i grillini per andare al voto? La mossa di dire ok al taglio dei parlamentari ma poi subito al voto» (tra l'altro dopo aver detto che era solo un alibi per allungare i tempi), non ha fatto altro che irritare il Quirinale per la forzatura. L'ultimo e più tragico errore, però, sarebbe quello di fare una seconda svolta e tornare da Di Maio. A quel punto oltre a perdere la possibilità delle elezioni, la Lega rischierebbe di perdere la faccia.
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