Forse oggi non denuncerebbe più. Forse, rimarrebbe sola con il suo dolore e con il suo orrendo segreto. Forse, non se la sentirebbe più di andare incontro ad un processo che dopo cinque anni e mezzo è ancora lontano dal traguardo della sentenza di primo grado.
La giovane nel luglio 2019 raccontò in procura che pochi giorni prima un quartetto di ragazzi conosciuti nelle lunghe notti della Costa Smeralda l'aveva violentata, umiliata, offesa nella sua dignità.
Un fatto gravissimo. Ancora più clamoroso perché uno degli accusati è Ciro Grillo, figlio dell'ormai ex leader dei 5 Stelle Beppe Grillo. Grillo difese, in modo maldestro Ciro, ma quello era un cuore di padre ferito e smarrito davanti a un dramma lacerante.
E però, fra perizie, audizioni e scontri fra le parti, il tempo se n'è andato. Un anno, due, tre, cinque e mezzo. Si possono buttare lì perfide considerazioni sul fatto che almeno nella prima fase il ministro della giustizia era il grillino Alfonso Bonafede.
Naturalmente queste sono interpretazioni maliziose che non vanno da nessuna parte.
E però fa riflettere un'altra circostanza simbolica: i fatti sarebbero avvenuti la notte fra il 16 e il 17 luglio 2019, gli stessi giorni in cui nasceva la famosissima legge sul codice rosso. Proprio questa norma impone la trattazione «con priorità assoluta» dei fascicoli aperti per violenza sessuale.
Priorità assoluta. Corsia preferenziale. Alta velocità e non ci vuole molto per condividere questa impostazione: la vittima, se di vittima si tratta, potrebbe subire quella che gli esperti chiamano una vittimizzazione secondaria. Altre sofferenze intollerabili, altri schiaffi e altre lesioni della dignità già calpestata. Alt.
Si deve fare in fretta. E invece a Tempio Pausania si va a passo di lumaca. Prima tre anni di indagine e quando il dibattimento si apre il procuratore della Repubblica Gregorio Capasso si giustifica così: «È un ufficio faticosissimo, con tre soli sostituti e un carico di lavoro enorme».
D'accordo, ma la ferita resta. E la ferita non si rimargina: siamo alla fine del 2024 e il verdetto arriverà solo l'anno prossimo.
La prescrizione, per fortuna, è lontana ma la giustizia ha già perso perché non ha tutelato né la donna né gli imputati che forse sono colpevoli ma forse sono innocenti e hanno tutto il diritto di conoscere la loro sorte in un tempo ragionevole.
Il tutto con un ulteriore elemento di complicazione: oltre al Codice rosso, qui c'è di mezzo un cognome pesante
della vita pubblica italiana, con possibili interferenze, strumentalizzazioni, slittamenti dal piano privato a quello pubblico e viceversa.Niente da fare. La priorità assoluta è nella legge, in aula è tutta un'altra storia.
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