Tensione al processo, 1.500 domande alla vittima

L'avvocato riesce a far interrogare "in forma protetta" Silvia, che abbandona l'aula durante la proiezione del video

Tensione al processo, 1.500 domande alla vittima
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Ha senso chiedere a una ragazza che ancora non riesce a fare i conti con la notte peggiore della sua vita di rivedersi, nuda, in un filmato, nelle mani dei coetanei che una notte se la passarono come un oggetto sessuale? Ieri Silvia, la studentessa italo-norvegese che ha denunciato per stupro Ciro Grillo, figlio di Beppe, e tre suoi amici, era in aula, al processo davanti al tribunale di Tempio Pausania. Nelle udienze precedenti era stata sottoposta a domande quasi brutali, tese a dimostrare la sua inattendibilità.

Così ieri, come unica forma di protezione per la nuova tornata di interrogatorio, Silvia ha chiesto un paravento nero. Da lì dietro ha risposto alle domande. Ma quando è stato il momento di proiettare il video, ha chiesto di lasciare l'aula. I legali degli imputati non si sono opposti, «è stata una scelta di rispetto». Ma intanto il video è stato proiettato, nonostante i giudici spiegassero di averlo già visto, e nonostante le immagini, che durano pochi secondi, non sciolgano in nessun modo il tema chiave del processo: se Silvia era consenziente o se era in balia degli eventi, talmente ubriaca da non sapere opporsi allo stupro di gruppo.

«Non era molto provata»: uno dei difensori dei giovani-bene la descrive così al termine dell'udienza. Ma in mano ai giudici ci sono da ieri due perizie mediche, consegnate dall'avvocato di Silvia, Giulia Bongiorno (nella foto). Uno psichiatra e uno psicologo hanno visitato Silvia dopo i primi interrogatori cui è stata sottoposta, e hanno trovato le sue condizioni mentali nettamente deteriorate. Per avere la certezza che il peggioramento sia una conseguenza del trattamento subìto in aula basta leggere le trascrizioni delle udienze precedenti, in cui Silvia viene costretta a spiegare dettagli tanto intimi quanto irrilevanti; e a riferire particolari dolorosi della sua vita successiva («Non dormivo per settimane, sono un metro e ottanta e sono arrivata a pesare 53 chili. Avevo molti istinti suicidi e autolesionisti. Mi capitava di bere alcol e poi cercare di andare, non so, quasi di ammazzarmi, oppure mi sono fatta delle ferite sul braccio»). Per questo ieri la Bongiorno ha chiesto e ottenuto che la ragazza venisse interrogata «in forma protetta», dietro il paravento. La stessa richiesta verrà avanzata oggi, quando Silvia dovrà tornare in aula per un nuovo round. Non l'ultimo, probabilmente.

Nelle prossime udienze, una volta concluso l'interrogatorio della vittima, toccherà agli imputati, che sia la Procura che le difese hanno chiesto di sentire, ma che potrebbero avvalersi in ogni caso della facoltà di non rispondere.

A quel punto il quadro della vicenda dovrebbe essere sufficientemente completo, ma tra un rinvio e l'altro il tribunale ha già fatto sapere che difficilmente la sentenza potrà essere emessa prima dell'estate: non la prossima, ma quella del 2025.

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