Terza ondata? In realtà una tregua non c'è mai stata. E nelle terapie intensive non è ancora finita la seconda. Insomma, si passa da un'emergenza all'altra senza pausa. A lanciare l'allarme è la Società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva Siaarti. «Dall'Abruzzo, che ho diretto fino a poco tempo fa, a Modena, a Milano senza dimenticare tutti gli altri territori colpiti - spiega la presidente Flavia Petrini - purtroppo nelle terapie intensive stiamo assistendo a un aumento dei ricoveri, ad un abbassamento dell'età dei ricoverati e a nessun segnale che interrompa la seconda ondata: scivoliamo dalla seconda alla terza ondata senza un sufficiente alleggerimento dei reparti di anestesia e rianimazione».
«In molte città - racconta la rappresentante degli anestesisti Petrini -, come hanno dichiarato i colleghi dei centri più colpiti, si è costretti a riattivare i posti destinati alla routine per pazienti Covid. E quindi a interrompere, nuovamente, le attività chirurgiche in elezione. Questo non è un bel segnale per la tenuta del sistema. Mi allineo totalmente alla preoccupazione del ministro Roberto Speranza e ovviamente alla preoccupazione espressa dal Cts. Dirigo una società che sta sacrificando tutte le attività, rovesciando il personale sulle aree di terapia intensiva. Non è normale».
Le prossime settimane saranno cruciali e ovviamente, con l'aumento dei contagi e dei ricoveri, aumenterà anche la percentuale dei pazienti che hanno bisogno di cure intensive. A confermarlo sono i numeri dello Spallanzani di Roma dove, su 150 ricoverati, 26 sono entrati in terapia intensiva.
Nemmeno le previsioni della fondazione Gimbe, attenta al monitoraggio dell'andamento della pandemia, sono incoraggianti: «Ormai la terza ondata è partita e gli interventi politici non sono ancora una volta tempestivi» denuncia Nino Cartabellotta. «La calma piatta apparente iniziata il 20 gennaio è finita il 20 febbraio, da due settimane la curva ha cominciato a risalire - ha spiegato - Il numero dei casi in sé non ha importanza, ma ogni 100 casi 5 vanno in ospedale e 0,5 vanno in terapie intensiva. A parte piccolissime variazioni regionali, questa è la statistica. Per questo motivo oggi abbiamo il 28% della saturazione delle terapie intensive a livello nazionale, ma in alcune regioni sono ben oltre la soglia del 30%».
Il 30% di posti occupati corrisponde alla soglia di allerta. Significa che ci siamo, ancora una volta. E se le cose dovessero peggiorare, torneremmo a fare la conta dei letti liberi e dei pazienti da dirottare altrove. Al momento sono sei regioni che superano questa soglia: Umbria, Provincia autonoma di Trento, Molise, Abruzzo, Marche e Lombardia (con Brescia al 90%). Ma non c'è ancora un allarme uniforme.
Per ora, quanto più gli ospedali si riempiono, tanto più tolgono spazio a pazienti con altre patologie e si verifica la cosiddetta «cannibalizzazione dei pazienti Covid». L'impatto sulla salute delle persone non dipende soltanto dalla malattia Covid, ma dipende dal sovraccarico degli ospedali che questa comporta, come il peggiore degli effetti domino.
«In questo difficile anno - sottolinea Alessandro Vergallo a nome di Aaroi-Emac, il sindacato dei medici di anestesia e rianimazione - sono state messe, da parte nostra, tutte le possibili pezze per far fronte alla pandemia nei nostri reparti. Come rinuncia alle ferie, riposi saltati. I medici delle terapie intensive sono estremamente provati da tutto questo super lavoro che c'è stato e che non accenna a diminuire».
Le persone ricoverate in terapia intensiva sono 2.700 e il dato comincia a fare impressione se si pensa che, il 3 aprile dell'anno scorso, uno dei giorni peggiori nella statistica della pandemia, i ricoverati erano stati 4.068. Insomma, nonostante vaccini, persone guarite in costante aumento, le cifre sembrano proporre una brutta replica di una stagione che speravamo fosse archiviata.
Escluse le terapie intensive, la percentuale di posti letto occupati negli altri reparti è del 32%. In questo caso la soglia d'allerta è fissata al 40%. Toccano questo numero sei regioni: Marche, Umbria, Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo e Molise.
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