Il test del "campo larghetto" è già una trappola per il Pd

Lo schema sardo è funzionale a Conte che si allea coi dem solo dove impone i propri candidati. Così Schlein rischia di consegnare la leadership ai grillini

Il test del "campo larghetto" è già una trappola per il Pd
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«Carica i bagagli, scarica i bagagli»: alle dieci di mattina nel campo semi-largo (ossia Pd e Cinque Stelle) che ha candidato Alessandra Todde alla regione Sardegna c'è eccitazione e entusiasmo. «Vinciamo di sicuro», confida ai suoi il capogruppo dei senatori dem Francesco Boccia.

Dal quartier generale di Giuseppe Conte parte l'avviso ai giornalisti: «Il presidente tra poco prende un aereo per Cagliari». Su i bagagli, chiaro il messaggio: Giuseppi va a incoronarsi d'alloro e a mettere il timbro sulla «sua» candidata, imposta ai dem (in cambio di nulla) nell'unica regione contendibile della prossima tornata. Agitazione al Nazareno: va bene rinunciare ai propri nomi, annullare le primarie, ingoiare la fedelissima di Conte e regalare la tribuna ai 5Stelle, ma a tutto c'è un limite. Se Conte va a stappare champagne, deve perlomeno lasciare un pezzetto di palco pure a Elly Schlein. E dunque anche la segretaria Pd annuncia di aver fatto il biglietto per Cagliari.

Passano le ore, lo scrutinio dei voti procede come un trattore in autostrada, le percentuali oscillano paurosamente, e nessuno dei due leader si presenta al check in di Fiumicino. Giù i bagagli, si attende con crescente nervosismo. E con la sensazione che quei risultati al rallentatore siano voluti: la candidata grillina fa filtrare il proprio «disappunto per la scelta della Regione di non caricare» sui siti ufficiali «i dati dei grandi comuni dove Todde sarebbe molto avanti. Si tratta di una strategia comunicativa voluta nata per allungare sino a domani l'incertezza sul vincitore». Poi, con l'avanzare della serata, l'ottimismo si riaffaccia: su i bagagli. I risultati che arrivano da varie province sembrano inequivocabili, e Conte fa sapere che sta per prendere l'aereo: «Comunque vada, voglio abbracciare la nostra Alessandra», annuncia (sottolineando «nostra»). «Non erano tanti quelli che immaginavano una sfida così aperta in Sardegna: si va al fotofinish. Che si vinca o si perda, sarà comunque un risultato straordinario». Il tutto accompagnato da una buffissima precisazione del suo staff: «Va interpretato così: non va perché sente odore di vittoria, ma perché a prescindere da come finirà questo testa a testa merita l'abbraccio del leader alla sua candidata». Sottolineato: sua. A ruota segue Schlein, che vuol mettere anche lei il timbro sui voti regalati alla candidata di Giuseppi e sulla prima batosta meloniana, e riesce a imbarcarsi sullo stesso aereo.

Lo schema dell'operazione è tanto chiaro quanto insidioso per il Pd: in Sardegna vince un campo larghetto che taglia fuori i centristi del Terzo Polo, che si sono sfilati per sostenere l'ex governatore Pd Renato Soru, che non supera lo sbarramento del 10%. Ma è un campo a trazione grillina: Conte fa coalizione solo dove può imporre candidature (alle prossime politiche sarà la sua) e programmi. L'alleanza con lui è l'unica strategia di Schlein, che dopo la Sardegna può imporla anche ai riottosi del suo partito.

Ma è una strategia costosa, che consegna il volante al populismo grillino, col rischio di rendere sempre più opaca la linea dem sulle questioni strategiche, a cominciare dalla politica estera: si può costruire un'alleanza di governo con chi tifa Trump e Putin? Ora si attendono con ansia i risultati delle liste, per capire se il Pd potrà rivendicare almeno quella primazia, come appare dai primi dati immediatamente rilanciati dal Nazareno («Siamo il partito più votato dell'isola») per arginare il trionfalismo contiano. «La Sardegna indica la strada, ora va percorsa con convinzione», è il verdetto di Dario Franceschini, grande sponsor di Schlein e dell'intesa coi grillini.

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