Contromossa di Pechino nel braccio di ferro che la vede contrapposta agli Stati Uniti sulla questione della proprietà di TikTok. Il presidente cinese Xi Jinping ha reagito alla mossa del presidente americano Donald Trump, che nelle scorse settimane citando ragioni di sicurezza nazionale - aveva minacciato la multinazionale cinese ByteDance, proprietaria della popolarissima applicazione di condivisione di video brevi, di spegnere TikTok negli States qualora essa non avesse provveduto a scorporare le attività americane della app e a venderle. Ora il governo di Pechino, citando a sua volta la sicurezza nazionale, reagisce imponendo per legge nuove restrizioni all'export di tecnologie d'intelligenza artificiale: in base alle nuove norme, ByteDance sarà obbligata a richiedere al governo cinese l'autorizzazione a vendere le attività statunitensi di TikTok. Autorizzazione che, è logico prevedere, sarà negata o legata a condizioni imposte dalle stesse autorità della Cina.
La cessione forzata di TikTok pretesa da Trump sembrava ormai cosa fatta, e vedeva in competizione colossi del calibro di Microsoft e Oracle, oltre a Triller, il rivale di TikTok sostenuto da investitori britannici. ByteDance stava già prendendo in considerazione le offerte di almeno questi tre concorrenti, ma a Washington era stata sottovalutata la volontà di Pechino di reagire a una mossa che aveva qualificato come una specie di furto con destrezza orchestrato da quella vecchia volpe di Donald Trump. La Cina aveva promesso vendetta se l'operazione vendita forzata fosse andata fino in fondo e aveva minacciato sibillinamente di disporre di «molte maniere per reagire». La lettura privilegiata di queste minacce era stata la messa nel mirino cinese di Apple, la più ricca impresa degli Stati Uniti: Tim Cook aveva concrete ragioni per temere che sarebbe stato proprio il suo colosso dell'iPhone a pagare il prezzo della prossima mossa nella faida commerciale tra l'Aquila e il Dragone. TikTok è infatti l'azienda cinese più visibile in Occidente, il che ne aveva fatto il bersaglio ideale per un Trump alla ricerca di successi nella sua guerra economica con Xi; e il reciproco è vero per Apple in Cina. Il presidente cinese, alla fine, ha scelto però un'altra strada per ostacolare le mosse del suo avversario, bloccando di fatto l'intera operazione di cessione forzata di TikTok negli Stati Uniti, il cui valore era stimato tra i 20 e i 30 miliardi di dollari e che comprende anche le attività in Canada, Australia e Nuova Zelanda.
Le nuove restrizioni stabilite dal governo cinese sono le prime da dodici anni a questa parte e vengono ad aggiornare la lista delle tecnologie di intelligenza artificiale che potranno essere esportate solo con il permesso dell'esecutivo politico nazionale: i 23 nuovi punti sembrano essere stati aggiunti al preciso scopo di coincidere con le attività di TikTok. Anche la tempistica appare studiata per ottenere un effetto nocivo agli interessi politici personali di Donald Trump.
Il quale, poco prima di Ferragosto, aveva emesso un ordine esecutivo che dava a ByteDance 90 giorni di tempo per cedere tutti i suoi asset negli States, mentre ora con la nuova legge in vigore a Pechino, l'autorizzazione per quanto ipotetica all'esportazione delle tecnologie di cui fa uso TikTok potrà richiedere anche un mese. Ce n'è abbastanza per far scivolare la soluzione del braccio di ferro a dopo le elezioni presidenziali americane fissate al prossimo 3 novembre.
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