Tre nuovi scenari per il centrodestra

Vero, le elezioni non sono state un disastro numericamente, al netto del numero di amministrazioni locali vinto dal centrodestra.

Tre nuovi scenari per il centrodestra

Vero, le elezioni non sono state un disastro numericamente, al netto del numero di amministrazioni locali vinto dal centrodestra. Ma la politica non è ragioneria, vive di simboli e rapporti di forza, e Milano non vale Montebelluna. Per un bilancio bisognerà aspettare: se il centrodestra vincesse a Roma e a Torino l'urlo di Letta si trasformerebbe in un clamoroso boomerang. Ma, se anche fosse, se il centrodestra riuscisse per la prima volta a «conquistare» Torino e per la seconda volta Roma, sarebbe difficile da definire una Invincibile Armada. Esso richiede, per i più pessimisti, una nuova fondazione partendo da zero; per i più ottimisti, una revisione. Nessuno però ritiene che debba restare così com'è. Qui vogliamo offrire tre scenari possibili di evoluzione dell'attuale centrodestra.
Una strada è quella proporzionalista: del ciascuno per sé. Sul modello tedesco, o come era in Italia fino al 1994, ogni forza politica cerca di massimizzare i propri consensi, spesso a discapito della forza ideologicamente più vicina. E, dopo il voto, si cominciano le trattative tra i vari partiti per formare un governo. Sarebbe la fine del bipolarismo e, quindi, del centrodestra, tanto più che due forze siedono al governo e una all'opposizione. È uno scenario che si potrebbe realizzare se venisse approvata la proporzionale, oggi tutti la schifano, ma in realtà quasi tutti la desiderano. Se si dovesse arrivare qui, occorrerebbe che almeno i tre partiti del (fu) centrodestra creassero qualcosa che li tenesse uniti.
La seconda via è quella maggioritaria, che spinge per una federazione, se non verso un partito unico. A questo punto il centrodestra sarebbe unito sulla carta ma, per evitare che l'esperimento fosse una replica del Pdl, occorrerebbe una costituente delle idee e dei programmi e soprattutto definire il modo di elezione del leader. Il Pdl il capo lo aveva, Berlusconi, eppure ciò non ha impedito di fare la fine che conosciamo, figuriamoci una federazione con più capi a contendersi la leadership.
V'è poi una terza soluzione, quella demiurgica.

L'apparizione, in uno stato di stallo, di un outsider che «scali» l'elettorato di centrodestra lasciando da un canto i partiti, come sta avvenendo ora in Francia con Eric Zemmour o come ha fatto Trump.
La seconda ipotesi sarebbe la migliore, purtroppo quella che ha più chance di realizzarsi però è la prima (ma non escluderei del tutto la terza).

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