Le toghe escono dalla sala. E rilanciano il "resistere"

I magistrati protestano contro il governo, Costituzione in mano. Lo slogan di Borrelli torna a riecheggiare nelle aule della giustizia

Le toghe escono dalla sala. E rilanciano il "resistere"
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A ventitré anni dal «resistere, resistere, resistere» di Francesco Saverio Borrelli (era l'epoca del primo governo Berlusconi). A quindici anni dall'abbandono delle aule da parte dei magistrati con la copia della Costituzione in mano (al governo, c'era di nuovo Berlusconi). Ieri, lo slogan torna ad echeggiare e la scena si ripete identica, nei ventisei palazzi di giustizia dove si inaugura l'anno giudiziario. Stavolta a Palazzo Chigi c'è Giorgia Meloni, ma poco cambia: perché per le toghe organizzate la riforma della giustizia che il governo sta realizzando non fa altro che realizzare i piani del Cavaliere (e di Licio Gelli, ha aggiunto qualcuno).

Così, da un capo all'altro della Penisola, la scena si ripete identica. Appena nelle aule, dopo i discorsi di rito, prende la parola il rappresentante del governo, il nero corteo delle toghe sfila verso l'uscita: e pazienza se, come a Milano o a Palermo il ministero non è impersonato da un politico ma da un semplice funzionario, da un magistrato prestato agli uffici. Giudici e pubblici ministeri se ne vanno fuori, nei corridoi o sulle scalinate, impugnando una copia della Costituzione. O meglio: se ne vanno quelli con la toga nera, quelli seduti in mezzo al pubblico. I magistrati partecipanti alla cerimonia ufficiale restano quasi tutti al loro posto, con le loro toghe purpuree.

Come a volte accade nei remake, il clima è diverso dall'originale: a lanciare a Milano il «resistere, resistere» non è un padreterno della categoria come Borrelli ma un consigliere del Csm, Dario Scaletta. E soprattutto i volti sono più mesti che combattivi, come se anche loro, le toghe che scivolano verso il foyer, sapessero che ormai il treno della separazione delle carriere è partito e non si ferma più, e tutto ciò che resta loro è una battaglia di testimonianza. Questo a volte porta a alzare i toni: a Cagliari, dove gli avvocati contestano la fuoriuscita delle toghe, il portavoce dell'Anm replica che la Costituzione sventolata «è un testamento di centomila morti». A volte si scavalla il bonton istituzionale: a Bari a rappresentare il governo c'è il viceministro Francesco Paolo Sisto, il rappresentante dell'Anm Giovanni Zaccaro gli si para davanti e gli cerca di consegnare due dadi da biscazziere, come protesta contro il sorteggio dei membri del Consiglio superiore della magistratura previsto dalla riforma. Sisto gli risponde a muso duro: «Con questi è meglio se ci fai il brodo». A Napoli, dove è presente personalmente il ministro Carlo Nordio, il procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri, non si presenta nemmeno alla cerimonia. A Catania l'Anm accusa il rappresentante del governo di avere commentato il corteo delle toghe con un «che vergogna, come i metalmeccanici»: ma poi deve ritrattare l'accusa, perché a rappresentare il governo c'è il magistrato Giuseppe Fichera che non ha mai detto niente del genere, e la battuta pare l'abbia fatta Nello Musumeci. A Brescia si raggiunge il top: i magistrati abbandonano l'aula prima ancora che parli l'inviato del ministero, perché per il Csm c'è Claudia Eccher, consigliere di centrodestra, che ha colpa di voler spiegare le ragioni della riforma. «Ma come si permette!», tuona uno dell'Anm, e i magistrati se ne vanno: compresi quelli che sono lì per pubblico servizio. La Eccher ci rimane malissimo, «hanno deciso di non ascoltarmi nemmeno».

Le immagini raccontano di una adesione compatta, quando il microfono passa all'inviato del ministero i magistrati in platea se ne vanno tutti (o quasi) dappertutto. Ma è un dato ingannevole, perché a presentarsi alle cerimonie sono stati solo i magistrati che volevano partecipare al bel gesto: e di quelli che sono rimasti a casa non si può sapere se l'abbiano fatto perché avevano d'altro da fare, o perché condividono il giudizio brusco («una pagliacciata») che della iniziativa dell'Anm ha dato nei giorni scorsi un leader della magistratura moderata come Claudio Galoppi.

Una cosa è certa: neanche quelli che ieri erano nelle aule, con la coccarda tricolore sulla toga e la Costituzione in mano, sono convinti di poter cambiare le cose. Ma sono assolutamente certi avere ragione. Se si dovesse andare al voto, e gli italiani dicessero sì alla separazione delle carriere, sarebbero gli italiani ad avere torto.

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