Avvocato Vietti, lei è stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Se fosse ancora lì, cosa farebbe per il «caso Arianna Meloni»? Interverrebbe a difesa della categoria, come pretende il leader delle toghe Giuseppe Santalucia?
«Partiamo - risponde Michele Vietti, a lungo sottosegretario nei governi Berlusconi - da una premessa: in questa vicenda, a cominciare dall'articolo di Alessandro Sallusti, si è gridato al lupo al lupo" ma io il lupo non l'ho visto. La Procura di Roma ha negato che una indagine esista, e peraltro io faticherei a immaginare quale reato si potrebbe configurare».
Ciò premesso...
«Ciò premesso credo che sarebbe ora che l'Associazione nazionale magistrati smettesse di vedere un reato di lesa maestà ogni volta che il funzionamento della giustizia in questo paese viene messo in discussione dalla politica. Ci si straccia le vesti, si grida alla delegittimazione... I magistrati facciano il loro mestiere che è quello di perseguire i reati quando ci sono le prove di responsabilità personali: i reati, e non i fenomeni. Delle nomine, per stare al caso di cui si parla, si occupa la politica e ne risponde in termini di credibilità e di consenso, non di reato. Se le scelte politiche vengono valutate in termini di reato qualcosa non funziona».
Lei dice, nel caso Arianna Meloni, di non avere visto il lupo. Ma il lupo esiste. L'utilizzo delle inchieste a fini politici fa parte della storia anche recente del Paese.
«Questo è fuori discussione, ci mancherebbe, nessuno lo può negare. In un mondo ideale sarebbe auspicabile che nessuno usasse le vicende giudiziarie come clava contro gli avversari politici, anche perché la storia ci insegna che questo metodo alla fine si ritorce sempre verso chi l'ha usato. Quando lo ha fatto la sinistra contro la destra si è vista ripagare della stessa moneta, e viceversa. Bisognerebbe avere ormai capito che ciò non giova a nessuno: vorrei un accordo trasversale per cui tutti rinunciano davvero a specularci sopra fin quando non ci sono accertamenti definitivi da parte dei giudici. Dei giudici, si badi, non dei pubblici ministeri».
Ma il lupo evocato in questi giorni, chiamiamolo così, non è solo fatto dalla politica che specula sulle inchieste della magistratura. É fatto anche di pezzi della magistratura politicamente schierata, e pronta a fare da braccio armato della battaglia politica. Non fa anche questo parte della storia del paese?
«La magistratura è molto cambiata, è molto meno ideologica di un tempo, si è creata una trasversalità per cui che qualcuno si metta a tavolino a progettare trappoloni per ilnemico io non lo credo. Che poi ci possa essere qualcuno che soffia sul fuoco sperando che un po' di brace possa dare vita ad un incendio, questo sì che mi sembra verosimile».
Nell'attività di Arianna Meloni si è ipotizzato persino il reato che si vorrebbe contestare: traffico di influenze. Ci starebbe?
«Ribadisco: in quanto sto leggendo sulle nomine in aziende di Stato non trovo nulla che assomigli a un reato.
Dirò di più: se Arianna Meloni, che mi risulta avere un ruolo di primaria responsabilità politica all'interno del partito di maggioranza relativa, ha interloquito su quelle nomine, ha fatto semplicemente il suo mestiere. A stupirmi è stato semmai che negasse di averlo fatto».
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