Tor Vergata, lo strano caso delle 8 scuole di specialità chiuse

I controlli dell'Osservatorio nazionale sui corsi della facoltà diretta dal rettore Stefano Marini

Tor Vergata, lo strano caso delle 8 scuole di specialità chiuse
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Come è possibile diventare un bravo chirurgo senza entrare quasi mai in sala operatoria? O specializzarsi in medicina d'urgenza se non ci sono le attrezzature da pronto soccorso? O ancora se mancano i professori? Eppure è quello che accade in parecchie scuole di specializzazione: 41 quelle chiuse in tutta Italia per mancanza di requisiti.

Il record negativo spetta all'università Tor Vergata di Roma, dove il preside della facoltà di Medicina Stefano Marini firma le autocertificazioni che gli vengono sottoposte dai direttori delle scuole di specializzazione. Otto di queste non hanno risposto ai requisiti previsti dai bandi, tanto che l'Osservatorio nazionale della formazione medica ha chiuso chirurgia toracica, pediatrica, vascolare, medicina d'urgenza, neurochirurgia, oncologia, otorino e nefrologia. Con un danno enorme per il turn over della professione, per la qualità della preparazione delle nuove leve, per il diritto alle cure che dovrebbe essere la priorità assoluta. Gli specializzandi si potranno trasferire, con nulla osta, in un'altra scuola creando sovraffollamento in alcune strutture e un conseguente «impoverimento» nella preparazione.

L'Osservatorio ha portato a risultati non appena ha ripreso a effettuare i controlli. Per lungo tempo, la struttura - composta da tre membri del Mur, tre del ministero della salute, tre presidi di facoltà e tre rappresentanti della pubblica amministrazione - è rimasta ferma. D'ora in avanti, invece, riprenderà a effettuare «verifiche a sorpresa» ovunque. Le scuole di specializzazione stanno vivendo una fase complicata, pur essendo il contenitore fondamentale per formare la nuova classe medica e mantenere il livello di qualità delle prestazioni. Uno dei nodi da risolvere riguarda i docenti: ora che non c'è più l'esame di passaggio da un anno all'altro per i giovani medici ma solo quello della fine della specializzazione, sarà spesso il tutor (e non il professore) a certificare le competenze dei futuri specialisti.

Altro punto che sta creando parecchie perplessità tra gli universitari è il decreto legge che prevede un «arruolamento» di 8 ore alla settimana degli specializzandi nelle corsie ospedaliere (e non solo nell'emergenza urgenza). La decisione, presa anche per colmare la mancanza di personale negli ospedali, si teme possa compromettere la completezza della formazione. «Temiamo si svuoti la preparazione teorica di natura universitaria in nome della pratica.

Come se a formare lo specializzando non fosse più il professore ma il primario» considera Michele Nicoletti, presidente di FederSpecializzandi. Gran parte degli specializzandi sostiene sia necessario trovare un punto di equilibrio fra teoria e pratica. E soprattutto deve poter contare su scuole con tutti i requisiti in ordine, senza il rischio che chiudano.

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