Da Tortora a Luttazzi, quanti onesti finiti in galera per l'errore delle toghe

Dal 1992 al 2018 sono finiti dentro ingiustamente in 27mila

Da Tortora a Luttazzi, quanti onesti finiti in galera per l'errore delle toghe

Le manette arrivano di notte, all'alba. Le accuse hanno nomi e cognomi, a volte celebri, spesso sconosciuti. Diventano nel migliore dei casi proscioglimenti, nel peggiore condanne che poi si trasformano in assoluzioni attraverso anni di processi, di calvario, di carcere. Clamorosi errori. Innocenti in cella. Ci siamo sbagliati. Fuori con tante scuse e risarcimenti dallo Stato: 27mila persone hanno subito un'ingiusta detenzione dal 1992 al 2018.

1970, apice del successo. Le accuse sono di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Per Lelio Luttazzi, cantante, musicista, volto televisivo, si aprono le porte del carcere: «Per tanto tempo mi sono portato dentro una rabbia senza fine contro il pubblico ministero che mi aveva interrogato e non mi aveva creduto». Il pm non gli aveva creduto. Rimase 27 giorni in prigione prima di essere prosciolto e liberato da un madornale sbaglio giudiziario nato da una telefonata fatta per conto di Walter Chiari. Ne rimase segnato per sempre.

1983, apice del successo. I carabinieri bussano alle 4 del mattino. Poco dopo Enzo Tortora esce in manette. L'accusa è di far parte della nuova Camorra, di essere un corriere della droga. Quel giorno Tortora non condurrà Portobello, finirà a Regina Coeli. Contro di lui ci sono testimonianze di «pentiti» e un'agendina con il suo nome: in realtà vi era scritto Tortona e non Tortora. E i centrini scambiati per partite di droga in verità erano solo centrini di seta inviati dal carcere da un camorrista. Sette mesi in prigione, poi la condanna in primo grado a dieci anni. Eppure «sono innocente - diceva - Lo grido da tre anni. Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi». L'assoluzione con formula piena arriva in appello, nel 1986. La fine dell'incubo solo con la Cassazione il 1987, un anno prima della morte per tumore ai polmoni: «Mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro».

2010, apice del successo. Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, viene nominato da Forbes «13esimo uomo più ricco di Italia». L'accusa è di associazione per delinquere finalizzata a una maxi frode fiscale. Il manager rientra dalle Antille con un jet privato nella speranza di poter chiarire subito la sua posizione. Invece: «In due giorni sono passato dalla vacanza su una splendida barca a vela nel mare dei Caraibi alla cella di isolamento. C'era un mandato di arresto per un'associazione a delinquere. Sono rimasto tre mesi in cella». Altri otto ai domiciliari. Nel 2013 assoluzione in primo grado, con formula piena, confermata in appello nel 2017. L'accusa non impugna il verdetto ed è la fine dell'inferno. Quasi otto anni dopo.

2017. A venticinque anni da quella vigilia di Natale del 1992, il giorno del suo arresto per concorso esterno in associazione mafiosa, la corte di Cassazione dichiara «ineseguibile e improduttiva» la condanna a dieci anni ricevuta da Bruno Contrada. Ma l'ex 007 oggi ottantottenne, aveva già fatto quattro anni carcere e quattro ai domiciliari: «Io voglio restituito il mio onore perché sono stato condannato ingiustamente e immeritatamente. Il cognome pulito è l'unica cosa che posso dare ai miei nipoti».

Già nel 2015 la Corte europea per i diritti dell'uomo aveva giudicato la sentenza illegittima: all'epoca dei fatti, negli anni Settanta e Ottanta, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, «non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui. Contrada non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso».

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