Torturata e chiusa in un container per un album di musica gospel

Roma Non hanno più i segni delle botte e dei maltrattamenti, ma le ferite nell'anima restano. Sono i cristiani degli anni Duemila, quelli che ancora pagano sulla propria pelle il professare la loro religione, quelli che gli islamici vorrebbero annientare, perché li identificano con i nuovi crociati. Sono uomini e donne, di tutte le razze, che non hanno paura di lottare per un credo. Nomi che passeranno alla storia, come quello di Helen Berhane, oggi 40 anni, che da qualche anno vive in Danimarca. Libera.La donna il 13 maggio 2004 è stata arrestata dal governo dell'Eritrea perché «colpevole» di aver pubblicato un album di musica cristiana. Le autorità volevano che firmasse un documento, per rinnegare la propria fede e rinunciare ad ogni attività legata alla Chiesa. Ma lei si è rifiutata. La punizione è stata la prigionia: due anni rinchiusa e torturata in un container e in una cella sotterranea del campo militare di Mai Serwa.Ogni giorno per lei erano botte. Catene, manganellate fino a farla svenire ma non morire, e la solita domanda ripetuta dai carcerieri fino alla nausea: «Rinneghi il cristianesimo?». In Eritrea è finita anche in coma. Solo nel 2006, anche grazie all'aiuto di Amnesty International, Helen Berhane è stata liberata e ha ottenuto asilo politico in Danimarca, dove continua a coltivare la sua fede religiosa e la passione per il canto. Ma ci sono voluti dieci mesi tra ospedale e stampelle, prima di star meglio.Alganesh Fessaha, esule eritrea e specialista in medicina ayurvedica, invece, non ha esitato a mettere a rischio la propria vita più volte in Libia e nel Sinai per liberare chi quanti rischiano di marcire nelle galere egiziane, libiche o nei lager dimenticati dei trafficanti di esseri umani in Sudan ed Egitto. Si è dedicata a malati, donne e bambini e in Italia oggi è presidentessa dell'Ong Gandhi, impegnata nella lotta al traffico degli esseri umani.Anche il Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, durante l'assedio della capitale della Bosnia ed Erzegovina durato circa quattro anni, rischiò di morire quando venne imprigionato per 12 ore dai serbi che non accettavano che lui fosse schierato in difesa dei diritti inalienabili della persona e sotto le bombe continuasse instancabile a far sentire la sua voce.Shahbaz Bhatti, invece, non ha avuto la stessa fortuna. Il 2 marzo 2011, mentre attraversava il centro di Islamabad ha perso la vita.

Era il primo ministro cristiano, ma non aveva accettato la scorta, nonostante sapesse di essere considerato un nemico dagli estremisti islamici. Un commando armato lo ha sorpreso e ha pagato a caro prezzo l'attaccamento alla sua fede.

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