La trappola della Meloni per mandare in tilt i 5s sul no alle spese militari

In Senato un odg sull'impegno del governo. Ma i grillini sono già pronti al dietrofront

La trappola della Meloni per mandare in tilt i 5s sul no alle spese militari

Il trappolone è stato preparato dall'opposizione di Fratelli d'Italia, e ora la maggioranza, M5s in testa, cerca disperatamente di non cascarci dentro con tutte le scarpe, creando un incidente.

Martedì prossimo in commissione Esteri, e poi mercoledì nell'aula del Senato, sarà esaminato il decreto Ucraina. E il partito di Giorgia Meloni prova a mettere in difficoltà i due anelli deboli della maggioranza Draghi, Lega e Cinque Stelle, sulle spese per la Difesa, con un ordine del giorno che richiama l'impegno ad aumentare gli investimenti fino al 2%, sottoscritto dall'Italia in sede Nato fin dal 2014. Un impegno che, con la guerra di Putin alle porte d'Europa, diventa più che mai necessario, e che il premier ha ribadito senza tentennamenti: «Lo abbiamo preso da 16 anni, ribadito da tutti i governi (Conte incluso, ndr) e fondamentale per l'integrazione della difesa europea». Chi «vuol bene al nostro Paese e cerca la pace» starà «unito» sulla linea degli alleati occidentali. Gli altri «faranno i conti con la propria coscienza e il proprio elettorato».

Il rischio è che la maggioranza si spacchi su un punto che crea profondi sconquassi sull'ex asse giallo-verde filo-Russia. Sia Conte che Salvini, a picco nei sondaggi, hanno immaginato di poter recuperare consensi cavalcando una linea «pacifista», in funzione anti-Draghi, opponendosi agli investimenti sulla Difesa perché bisogna pensare «al caro-bollette degli italiani». Con l'ex premier Conte che è arrivato a definire «ignobile» qualsiasi nuovo investimento nella difesa del Paese, incitando i suoi alla ribellione contro il governo, e auspicando il voto contrario all'impegno del 2%. Suscitando le ire del Pd: il segretario Enrico Letta invita alla calma assicurando che una «soluzione» si troverà, ma i suoi definiscono «irresponsabile» la linea di Conte, che «punta, insieme a Salvini, alla destabilizzazione» del governo.

I 5S sono implosi: una parte sta con Di Maio, fermamente allineato a Draghi, una parte con Conte che cerca lo scontro sperando di risalire nei sondaggi, ma il grosso delle truppe parlamentari ha una sola bussola: evitare incidenti che possano mettere a rischio la legislatura. Così, ieri, dagli stessi 5S è partito un pressing per chiedere al governo di levarli dall'impiccio mettendo la fiducia sul decreto, e facendo così decadere gli ordini del giorno. Lunedì si terrà una riunione di maggioranza per cercare una soluzione.

La capogruppo in Senato Castellone ha respinto il pressing dei contiani perché venisse presentato un documento anti-spese militari: «Non è una priorità, ne riparleremo quando si discuterà del Def», dice, prendendo tempo. L'ala movimentista sposa la linea Conte: «Sarebbe sconsiderato anteporre la spesa per le armi alla crisi», tuona Castaldi. Mentre Paola Taverna implora di «non mettere in difficoltà» il governo e il sottosegretario Di Stefano ribadisce la linea Draghi: «Siamo per il rispetto degli impegni presi». Anche nella Lega il capogruppo Romeo frena i bollori salviniani: «Sull'aumento al 2% voteremo come abbiamo votato alla Camera», ossia a favore.

Dal Pd si butta acqua sul fuoco: nessun pericolo di crisi, i modi per «sterilizzare» la questione si trovano: «Basta che il governo accolga l'odg

meloniano, visto che è una posizione già condivisa da tutta la maggioranza a Montecitorio, e non si arriva al voto». Resta, dicono i dem, «il problema politico enorme di esser alleati con Conte e un M5s allo sbando totale».

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