Le tre opzioni di Kiev: rafforzarsi, negoziare o un ritiro strategico

Per gli analisti le truppe ucraine ora si fermeranno. "Spaventata" Mosca, ora conviene dialogare

Le tre opzioni di Kiev: rafforzarsi, negoziare o un ritiro strategico
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Ma che cosa hanno in mente Volodymir Zelensky e i suoi generali? Ovvero: come sperano di trasformare un indubbio successo tattico, la riuscita operazione nella regione di Kursk, in un durevole vantaggio strategico? È la domanda che si fanno in queste ore gli analisti militari. Che quasi sempre avviano il loro ragionamento da una comune constatazione di partenza: la ristrettezza di mezzi degli ucraini (uomini, armamento, munizioni) li costringe a scelte più creative, che però portano con sè un elevato grado di rischio. Se si guarda, come si dice, alla pura «matematica della guerra», iniziative come quella intrapresa la settimana scorsa rappresentano perfino un potenziale danno: l'allungamento della linea del fronte, il consumo di preziose risorse espongono Kiev al pericolo di assottigliare ulteriormente la linea della fanteria, già a corto di riserve per avvicendare i reparti messi sotto pressione nelle regioni di Donetsk e del Donbass.

È vero che la guerra non è fatta solo di numeri ma anche di elementi intangibili, e il primo tra questi si chiama morale. La facilità con cui gli uomini di Zelensky sono penetrati in terra russa, mostrando l'inefficienza e la disorganizzazione dell'avversario ha cambiato l'umore dell'Ucraina. Se poi risultasse confermata la voce raccolta ieri dall'agenzia Bloomberg, secondo cui le perdite russe (non tanto nell'area di Kursk ma sull'intero fronte) sono ormai tali da rendere necessaria un ulteriore mobilitazione di uomini in età di leva, a cambiare sarebbe l'intero quadro psicologico del conflitto. Fino ad ora i russi hanno assistito alle vicende belliche senza clamorosi segni di protesta, ma di fronte all'accoppiata reclutamento forzato/inefficienza conclamata dei comandi potrebbero finire per comportarsi in maniera diversa.

Fattori immateriali a parte, il generale Mick Ryan, australiano, analista di alcuni tra i maggiori centri studi internazionali (tra di essi lo Csis di Washington) ha disegnato tre scenari possibili. L'unico a non essere preso minimamente in considerazione è «una marcia su Mosca o anche su Kursk». «La prima ipotesi», ha scritto, «è lontanissima da essere un opzione praticabile e dal punto di vista storico non è mai stata un'idea felice. Ma anche la seconda potrebbe essere troppo impegnativa per gli ucraini, e date le dimensioni del gruppo di manovra in azione nella regione appare poco probabile, se si eccettua forse un veloce raid di piccole forze terrestri o aeree».

La prima ipotesi realisticamente sul terreno è quella di un esaurimento dell'offensiva e di un consolidamento delle conquiste effettuate fino a qui, in attesa del via a un negoziato. Sui social sono trapelate notizie relative alla creazione da parte delle truppe di Kiev di prime strutture di difesa, ma questa, secondo Ryan, è l'opzione che presenta più rischi perché estremamente dispendiosa in termini di truppe e materiali. Già più probabile è la possibile seconda opzione a disposizione dell'Ucraina: un ritiro parziale su posizioni meglio difendibili. La scelta richiederebbe un minor dispendio di mezzi e uomini ma richiederebbe comunque un rilevante numero di combattenti per presidiare le zone occupate e uno sforzo ingegneristico per la realizzazione di campi minati e fortificazioni difensive.

La terza opzione (quella che gli alleati internazionali di gran lunga preferirebbero) è un ritorno nelle basi di partenza, lungo i confini internazionalmente riconosciuti. Questa soluzione, secondo Ryan, avrebbe il pregio di «massimizzare i benefici strategici e politici dello choc generato dall'operazione militare riducendo i rischi e consentendo anche un ridispiegamento almeno parziale delle truppe nelle regioni sottoposte agli attacchi russi nell'est del Paese».

Secondo l'analista del Csis il messaggio a Mosca risuonerebbe comunque chiaro: «Possiamo invadervi e farvi male se lo vogliamo, ma non abbiamo alcun interesse ad invadere un nostro vicino».

Allo stesso tempo la scelta metterebbe in luce «la debolezza di Putin, che non si è rivelato in grado di punire le truppe protagoniste l'operazione nella regione». Un umiliazione per il leader del Cremlino e per i suoi uomini. E allo stesso tempo un messaggio di responsabilità rivolto agli alleati.

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