Tregua di 48 ore per 4 rapiti. Decolla la proposta egiziana

Israele e Hamas si dicono pronti ad accettare. Ma si tratterà fino alla fine. Biden: "La guerra deve finire"

Tregua di 48 ore per 4 rapiti. Decolla la proposta egiziana
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Due giorni di tregua per scambiare quattro ostaggi israeliani con un gruppo ancora imprecisato di detenuti palestinesi. Sarebbe questo il contenuto della proposta egiziana che, dopo i colloqui a Doha tra i vertici dell'intelligence di Israele, Stati Uniti, Egitto con il premier del Qatar Mohammed Al Thani, fa tornare la speranza di una sospensione dei combattimenti in Medioriente e del ritorno di una parte di quei 91 ostaggi (molti dei quali già morti) che si trovano ancora a Gaza. Nei prossimi giorni le discussioni proseguiranno tra i mediatori e Hamas. E che si possa essere vicini a uno stop almeno temporaneo alle armi nella Striscia lo confermano i due protagonisti del conflitto. «Lavoriamo su una tregua in cambio di alcuni ostaggi», spiega il primo ministro Benjamin Netanyahu, aggiungendo che il capo del Mossad, David Barnea, è rientrato in Israele dopo aver discusso a Doha «una nuova proposta unificata che combini le proposte precedenti e tenga anche conto delle questioni principali e degli sviluppi recenti nella regione». Dall'altra parte, fonti di Hamas riferiscono che il movimento «è pronto ad accettare la proposta egiziana» (tregua di due giorni durante la quale avverrebbe il rilascio di quattro ostaggi israeliani e di alcuni condannati palestinesi nelle carceri israeliane). Secondo la proposta del Cairo, illustrata dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, la tregua dovrebbe essere seguita da ulteriori negoziati entro 10 giorni. Ma è sul nodo della fine delle ostilità che sembra si continui a combattere la battaglia fra le due parti, con Hamas che vorrebbe un cessate-il-fuoco illimitato e il ritiro dell'esercito israeliano e Israele pronto a riprendere i combattimenti dopo una pausa militare.

Oltre un anno di conflitto ha abituato il mondo e i parenti degli ostaggi, logorati dall'atroce attesa dei propri cari, a un'altalena di indiscrezioni e smentite, a una «guerra psicologica» sulla pelle dei rapiti - come l'ha definita Israele - priva di certezze fino alla fine. Finché le armi non si fermano, si viaggia sul piano delle probabilità. Dagli Stati Uniti Joe Biden spera di raggiungere il traguardo prima delle presidenziali del 5 novembre e ribadisce: «Dobbiamo fermare questa guerra. Deve finire».

Il conflitto continua nella Striscia di Gaza e in Libano, in attesa di capire se l'Iran risponderà alla rappresaglia israeliana (il governo di Teheran annuncia che lo farà, ma Sky news Arabia sostiene che il regime ha informato Israele che non lo farà). Circa 100 mila persone sono intrappolate nelle aree di Jabalia, Beit Lahiya e Beit Hanoun, nel nord di Gaza, senza scorte mediche o alimentari e secondo l'Ue circa 150mila «rischiano di morire di fame». Dal Libano, Hezbollah ha lanciato ancora 115 razzi. Ed è sull'Iran che si concentrano ora le attenzioni. Il prezzo del greggio è sceso del 5% dopo che Israele ha evitato la rappresaglia ai siti petroliferi.

Nel corso di un intervento alla Knesset, Netanyahu ha spiegato che Israele ha colpito «le fabbriche di morte» del regime di Teheran, che «sta lavorando per una riserva di bombe nucleari e sarà in grado di minacciare il mondo intero, quando vorrà». Il premier ha riferito che, finito il conflitto con l'Iran, Hamas ed Hezbollah, punterà ad accordi di pace con altri Paesi arabi come quelli di Abramo con Emirati, Bahrein e Marocco.

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