Roma Il Jobs Act? Via. La flessibilità? Troppa. L'articolo 18? «Valuteremo se reintrodurlo». L'alternanza scuola-lavoro? «Da ripensare». Il decreto Poletti sui contratti a tempo determinato? «Da revisionare». Il reddito di inclusione? Da rimpolpare. La legge Fornero? Da mettere in congelatore. «Stiamo pensando a un superamento graduale», intanto «bloccheremo per cinque anni l'adeguamento dell'età pensionabile».
No, questo non è il programma di Potere al popolo o del Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, ma quello di Pasquale Tridico, da poco più di 24 ore ministro in pectore al Lavoro dell'ipotetico governo Di Maio. Il professor Tridico, calabrese, 42 anni, docente di Politica economia all'università Roma Tre, da tempo vicino ai grillini, figura tra i partecipanti dei convegni di settore organizzati nei mesi scorsi dal Movimento Cinque Stelle. Autore di diversi saggi, il suo ultimo lavoro, pubblicato dall'autorevole Cambridge Journal of Economics, affronta i «fattori che determinano la disuguaglianza del reddito nei Paesi dell'Ocse».
Tridico è da sempre critico nei confronti delle riforme cardine del periodo renziano. «È urgente invertire le politiche di estrema flessibilizzazione del mercato del lavoro, che non è il modo giusto per aumentare la produttività e il reddito, come annunciato più volte da molti economisti, keynesiani e non solo. Le evidenze empiriche - sostiene - mostrano che sono i mercati meno flessibili a presentare in Europa le migliori performance in termini di produttività». Quindi la «priorità» è «la revisione del decreto Poletti che oggi permette alle imprese di rinnovare i contratti a termine fino a cinque volte per 36 mesi senza indicarne la ragione». Troppe «deroghe» e troppa «discrezionalità». Quanto al Jobs Act, dice in un'intervista alla Stampa, «valuteremo se tornare alla disciplina precedente per le imprese sopra i quindici dipendenti».
Ma al professore non piace nemmeno la Fornero. «Gli autori stessi della legge hanno iniziato a cambiarla, inserendo l'Ape sociale, e alcune categorie esentate e occupandosi degli esodati». M5s, se andrà al governo, vuole «un suo superamento graduale, che costerà 11 miliardi l'anno. Con la nostra riforma si potrà andare in pensione dopo 41 anni o quando la somma tra età anagrafica e contributiva fa cento». Tridico è invece tiepido sulla riduzione del cuneo fiscale, perché «abbassare troppo il costo del lavoro spinge le imprese a investire in produzioni labour intensive e non nell'innovazione». Infine, il reddito di inclusione.
«Ci rivolgiamo a dieci milioni di persone» perché gli attuali 187 euro a testa sono insufficienti». Resta da vedere dove troverà i soldi. Ma lui assicura: «Le coperture che abbiamo indicato sono state dichiarate ammissibili dalle commissioni Bilancio».
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