Trojan, telefonini spiati dalle aziende private

Lo Stato affida all'esterno le intercettazioni e l'uso del virus. Concreto il rischio manipolazioni

Trojan, telefonini spiati dalle aziende private

Nonostante le grida di allarme di magistrati, avvocati e addetti ai lavori, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non sembra voler fare passi indietro: a meno di sorprese, dal primo marzo troverà piena applicazione la nuova norma sulle intercettazioni. Una decisione che, dopo gli scontri sulla prescrizione, provoca altre fibrillazioni nella maggioranza: i renziani sono infatti pronti a presentare emendamenti al dl per limitare l'utilizzo dei trojan. Alzando così il livello dello scontro.

Ieri in commissione Giustizia al Senato sono stati ascoltati funzionari della Giustizia per cercare di dipanare le «comprensibili preoccupazioni» sull'avvio del «Grande fratello» di Stato. Dal ministero sono arrivate rassicurazioni sul «bilanciamento tra esigenze investigative, diritto di difesa e privacy». Eppure restano diverse questioni irrisolte.

Il tasto dolente riguarda l'uso dei trojan. Si poteva affidare allo Stato l'intero processo di intercettazione e invece si è preferito ricorrere ai privati, con evidenti rischi in tema di segretezza, fuga di notizie e rispetto della privacy. Chi vigilerà, ad esempio, affinché gli invasivi virus-spia non vengano usati per «caricare» materiale nei dispositivi all'insaputa del proprietario? Semplice: nessuno. Il ministero se ne lava le mani, spostando la responsabilità sulle aziende. Qualora facessero un uso distorto del virus, i responsabili verrebbero indagati e magari condannati. Ma non esiste un controllo «preventivo», se non un meccanismo tecnico che (pare) permetterà ai procuratori di verificare le attività realizzate dalle ditte sui server.

La questione è tecnica, ma sostanziale. Il ministero infatti ha ammesso che «l'immodificabilità» dei dati è garantita solo dopo che le società avranno riversato i file sui server statali. Tradotto: per quel che succede prima si confida che le leggi siano rispettate. Sia chiaro: anche oggi il sistema funziona più o meno così. La differenza però è che per il futuro non si parla più solo di semplici intercettazioni ambientali, bensì dell'utilizzo di trojan capaci di trasformarsi in uno strumento di «sorveglianza massiva dei cittadini».

Un enigma avvolge poi il trasferimento dei dati. Le ditte avevano messo a verbale «l'impossibilità» di «conferire in originale» le intercettazioni dai server delle società a quelli di Stato, col rischio che non si possano considerare «autentiche». La relazione consegnata ai senatori, però, è stata rivista nella versione destinata al pubblico. Perché? Mistero. Al posto della parola «impossibile» fa infatti capolino un più edulcorato «difficoltoso» che permette al ministero di liquidare come «eccessivi» i timori delle ditte.

Infine, il nodo segretezza. Il ministero assicura che le norme obbligano già le società-spia a cancellare le intercettazioni «alla cessazione» del contratto.

Il problema è che i diretti interessati sostengono che la legge abbia grosse lacune e che, secondo il procuratore Bruno Cherchi, «non vi sono sistemi di controllo» per accertarsi dell'avvenuta cancellazione. Alla faccia della privacy.

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