«Che fai presidente, non inviti Draghi?». Quando ha sentito quel nome, Giuseppe Conte è sbiancato. Chi, proprio lui, Supermario, il più amato dagli italiani, l'uomo che molti vorrebbero al suo posto? No, non se ne parla nemmeno. Il premier ha provato a glissare, a spargere fumo, a prendere tempo. Ma il ministro, uno di quelli convocati in questi giorni a Palazzo Chigi per organizzare il conclave, non mollava. «Che senso ha - lo ha incalzato - indire gli Stati Generali dell'economia senza coinvolgere l'uomo che per nove anni ha guidato la Bce?». Così Conte alla fine ha capitolato: sì, lo chiameremo. E in serata ha fatto spargere la voce: Draghi ha declinato. In realtà l'invito non è mai partito.
Dunque, una perfetta supercazzola. Draghi avrebbe comunque rifiutato, lo sanno tutti, probabilmente perché ritiene il programma fumoso e l'evento di Villa Pamphilj solo un'occasione propagandistica per Conte, uno spot nella cornice del seicentesco Casino del Bel Respiro dell'Algardi. Però il premier non ha voluto rischiare. E se a sorpresa accetta? Mi farà ombra, deve essersi detto, mi schiaccerà, l'interesse e le telecamere saranno tutte per lui. Quindi, assieme al suo portavoce Casalino si è messo al tavolino e ha congegnato questa bizzarra strategia di difesa, il rifiuto ricevuto prima ancora della partenza dell'invito.
Non pervenuta al momento la reazione di Draghi, ma chi lo conosce ipotizza un interesse alla vicenda vicino allo zero. Sospiri di sollievo invece a Palazzo Chigi: da mesi si parla di un governo di salute guidato da Supermario, ieri Giorgetti lo ha evocato di nuovo e, anche ora che la prospettiva sfuma almeno verso l'autunno, il profilo e l'esperienza dell'ex presidente della Banca centrale europea fanno paura. Conte potrebbe forse, chissà, consolarsi con la nuova numero uno di Francoforte. Christine Lagarde dovrebbe parlare in videoconferenza sabato a mezzogiorno, però il suo è uno degli interventi «non confermati». La pattuglia Ue sarà comunque rappresentata dalla Ursula von der Leyen e dagli italiani David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, e Paolo Gentiloni, commissario all'Economia.
E poi, Vittorio Colao. Stando al programma, il presidente della task force sulla fase due, accompagnato da una delegazione della sua nutrita squadra, dovrebbe spuntare a Villa Pamphilj lunedì per presentare il suo piano per l'Italia. Conte all'inizio non voleva nemmeno lui: il motivo è sempre lo stesso, non intende dividere il palcoscenico con nessuno. Del resto ha depotenziato fin da subito il manager, affiancandogli una ventina di esperti con l'intento di farlo affogare in discussioni eterne. Poi anche qui il premier ha dovuto cedere alle pressioni del Pd e alla logica, concedendogli una breve passerella. Ma Colao stesso, che ha condotto la task force da Londra, prima di accettare ha indugiato parecchio, irritato dalle tante critiche ai suoi cento punti giunte dai partiti della maggioranza. L'opposizione invece sarà assente.
Il confronto con il centrodestra doveva aprire domani i lavori: se salta, svaniranno pure le flebili speranze del Quirinale di una ripresa del dialogo. Non che Mattarella puntasse molto sugli Stati Generali, visto che il vero dibattito si svolge in Parlamento. Però insomma, tutto poteva servire.
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