"Dal trucco al velo, vi racconto la svolta del clan femminile guidato da Lady Jihad"

Non solo Maria Giulia Sergio, la Lady Jihad partita per la Siria: ci sono anche la suocera e la zia del marito tra le anime nere al centro di una metamorfosi per la guerra santa

"Dal trucco al velo, vi racconto la svolta del clan femminile guidato da Lady Jihad"

«Tre giorni prima di venir arrestata mi ha detto che bisognava cambiare nome ai bambini, almeno fra le mura di casa, usandone uno islamico. L'ho fulminata con uno sguardo. Lei ha replicato che lo aveva chiesto la zia dalla Siria sostenendo che dovevano essere veri musulmani». Lo racconta, in esclusiva al Giornale , la volontaria italiana che accudisce i due figli piccoli di Arta Kacabuni, alias Anila, arrestata mercoledì a Scansano, in provincia di Grosseto, nell'inchiesta sui seguaci del Califfo in Italia.

La volontaria, che chiamiamo Francesca, nome di fantasia, accetta di parlare in cambio dell'anonimato. Non solo conosce dall'interno la famiglia degli albanesi infatuati dalla guerra santa, ma ha pure incontrato Maria Giulia Sergio, la prima Lady Jihad italiana, alla vigilia della partenza per la Siria. «La scuola era già iniziata ed una sera dello scorso settembre, mi hanno presentato la moglie di Aldo Kobuzi, la ragazza italiana che è finita su tutti i giornali» racconta la volontaria. Kobuzi è il nipote di Anila, che assieme al fratello Baki Coku arrestato pure lui in Albania, hanno non solo ospitato la coppia jihadista, ma combinato il matrimonio per farli accettare dallo Stato islamico in Siria. «Mi ricordo dei capelli castani. In casa non portava il velo - spiega Francesca che abita nella zona di Scansano - Mi ha chiesto se fossi cristiana per poi dire: “Io ero cattolica, ma ho abbracciato l'islam perché è una religione più pulita”». Nessun accenno alla partenza per il Califfato il 21 settembre da Poggioferro, una frazione di Scansano, dove la coppietta jihadista è ospite degli zii albanesi ora in carcere.

Aldo, il marito diventato mujahed, è venuto in Maremma per lavorare nel 2012 e 2013. Francesca spiega che «poi è tornato lo scorso anno dall'Albania appositamente per sposare Maria Giulia. Zia Anila diceva che avrebbero raggiunto la sua giovane nipote (Serjola Kobuzi, pure lei ricercata, ndr ), che si trovava già con il marito in Siria». In realtà il marito è morto combattendo per le bandiere nere. «A Poggioferro, Aldo era sempre collegato via internet con dei siti islamici radicali - spiega Francesca - Un giorno mi ha spiegato che una musulmana è morta perché aveva tolto il velo. “Allah l'ha rimpicciolita fino a farla scomparire” diceva. A me veniva da ridere».

La volontaria, come è scritto negli atti della procura di Milano, accudisce i figli dell'albanese seguace dello Stato islamico, per «ragioni di carità». «Alina fino all'agosto del 2013 era una donna normale, che amava truccarsi e mangiava la salsiccia proibita dal Corano - ricorda Francesca - Poi è tornata con il velo da un viaggio in Albania, dove la sorella Donika, detta Lina, le ha fatto il lavaggio del cervello sull'islam». Secondo la volontaria maremmana è la suocera ricercata di Maria Giulia, in Siria con la nuora, «l'anima nera di questa storia. Alla sorella Alina diceva addirittura di non lavorare nelle vigne perché raccogliere l'uva, con la quale si fa il vino, è peccato».

L'inchiesta scopre che proprio Alina incontra il 4 agosto Maria Giulia nel milanese. L'aspirante Lady Jihad viene agganciata ad una fiera di libri salafiti presso il centro islamico Attaweed di San Paolo d'Argon, nel bergamasco.

Il nipote Aldo vuole arruolarsi nello Stato islamico e Maria Giulia ha bisogno di un marito per fare lo stesso. Gli zii albanesi di Scansano organizzano il matrimonio a Treviglio. Ed i ragazzi partono per la guerra santa al posto della luna di miele.

«Con me non inneggiava al Califfato - spiega la volontaria della provincia di Grosseto - ma Alina mi diceva che la sorella la chiamava spesso dalla Siria dove lavoravano e stavano bene». L'albanese arrestata si «sentiva quasi ogni giorno anche con la famiglia italiana di Maria Giulia, pure lei una personalità molto forte, capace di plagiare, come la suocera». La Digos di Milano ha scoperto che dalla Siria insistevano per fare partire non solo la famiglia Sergio, ma pure la zia albanese con i due figli. «Negli ultimi tempi mi diceva che voleva andare a Milano con i bambini - sottolinea Francesca -. Con il senno di poi è probabile che volesse partire assieme ai familiari di Maria Giulia. Nella borsa si era messa il passaporto e i documenti dei bambini, come se dovesse andarsene da un momento all'altro». Le manette sono scattate prima.

La «pia» Alina faceva pregare i figli piccoli cinque volte al giorno e rispettare il Ramadan. In gennaio esultava al telefono con Marianna, la sorella di Maria Giulia, pure arrestata, per l'attacco alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi,: «Dio è grande (…) hanno fatto bene, che Allah li ricompensi».

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