Donald Trump promette pieno sostegno all'alleato di sempre Israele, rilancia gli sforzi per la pace in Medio Oriente, attacca l'Iran assicurando che non avrà mai l'arma nucleare. Ed entra nella storia diventando il primo presidente americano a visitare il Muro del Pianto. Non appena atterrato a Tel Aviv per la seconda tappa della sua prima missione internazionale, che lo porterà nei prossimi giorni anche in Vaticano, al vertice Nato di Bruxelles e al G7 di Taormina, il tycoon ha ribadito davanti al premier Benjamin Netanyahu «il legame indissolubile» tra Stati Uniti e Israele, che «non può essere spezzato». «Amiamo e rispettiamo questo Paese, siamo con voi», ha detto Trump, assicurando che durante questa visita punterà «ad una cooperazione sempre maggiore nella lotta al terrorismo e alla sua ideologia malvagia».
The Donald, accolto all'aeroporto dal presidente Reuven Rivlin, ha l'ambizione di raggiungere un accordo per la pace tra israeliani e palestinesi: «In questi giorni ho trovato nuove ragioni di speranza, abbiamo un'opportunità rara di portare stabilità e pace nella regione», ha affermato, sottolineando di credere in un «rinnovato sforzo», pur se «è uno dei compiti più duri». Netanyahu, da parte sua, ha detto che «Israele cerca la pace», sottolineando che «per la prima volta nella vita vede una reale speranza per il cambiamento del mondo arabo verso lo Stato ebraico».
Trump oggi incontrerà anche il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen a Betlemme, e il segretario di stato Rex Tillerson ha confermato che il tycoon è pronto a investire i suoi sforzi personali per la pace in Medio Oriente se i leader delle due parti si impegneranno seriamente. A questo proposito, il capo della diplomazia Usa ha spiegato che un incontro a tre con Netanyahu e Abu Mazen avverrà in «una data successiva» e non nel corso di questo viaggio. Il presidente vuole entrare nella storia con il progetto di una nuova Camp David in salsa trumpiana, sulle orme di quanto avvenne nel 2000 quando l'allora Commander in Chief Bill Clinton incontrò il premier israeliano Ehud Barak e il presidente dell'Anp Yasser Arafat. Il vertice per tentare di raggiungere l'accordo su uno status permanente fu senza precedenti in termini di finalità, pur se si concluse in un nulla di fatto. Di sicuro, Trump verrà ricordato per essere stato il primo presidente americano in carica a recarsi al Muro del Pianto, luogo sacro dell'ebraismo. A visitarlo sono stati in molti, da Clinton a Barack Obama, ma nessuno di loro lo ha fatto durante il mandato alla Casa Bianca.
Dopo la tappa con la moglie Melania, la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner al Santo Sepolcro, nella Città Vecchia di Gerusalemme, Trump ha appoggiato la mano destra sulle pietre del Muro, ed ha infilato un biglietto come vuole la tradizione. Una visita storica secondo gli osservatori, anche perché il Muro si trova nella parte est di Gerusalemme, quella che Israele conquistò durante la guerra dei sei giorni del 1967, e che la comunità internazionale non considera nella sovranità dello Stato ebraico.
Durante la conferenza stampa congiunta, il premier Netanyahu ha poi detto di «apprezzare il cambiamento della politica Usa nei confronti dell'Iran, la coraggiosa azione contro le armi chimiche in Siria, e la riaffermazione della leadership in Medio Oriente». Oltre a voler «lavorare insieme contro le aggressioni nella regione e per limitare le ambizioni militari di Teheran di diventare uno stato nucleare». Proprio sull'Iran, Trump ha assicurato come «Usa e Israele possono dichiarare ad una sola voce che alla Repubblica Islamica non sarà mai, mai, mai concesso di avere un'arma nucleare». «L'Iran deve smettere di addestrare e finanziare i gruppi terroristici e le milizie», ha tuonato, ribadendo che «c'è un profondo consenso nel mondo» su questo, «incluso nel mondo musulmano».
Quello tra Trump e alcuni capi di stato arabi a Riad è stato «uno show senza valore politico», ha ribattuto invece il presidente iraniano Hassan Rohani, per cui «il problema del terrorismo non si risolve tenendo riunioni e versando denaro nelle tasche delle superpotenze».
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