Tunisia, l'ora delle purghe. E l'Italia teme i terroristi

Il presidente silura anche 20 alti funzionari. Roma trema per gli sbarchi di soggetti pericolosi

Tunisia, l'ora delle purghe. E l'Italia teme i terroristi

La Tunisia in crisi, che se precipitasse potrebbe provocare un esodo verso l'Italia, rende più difficile il contrasto all'immigrazione clandestina. La stessa Luciana Lamorgese, ministro dell'Interno, lo ha ammesso ieri in Parlamento. E il procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho ha lanciato l'allarme sull'arrivo di terroristi mescolati ai migranti proprio dalla Tunisia.

Nel paese nord africano il presidente Kais Saied continua a fare repulisti dopo avere silurato il primo ministro e sospeso il Parlamento per un mese. Il governo italiano non nasconde la preoccupazione rispondendo in aula a un'interrogazione urgente di Fratelli d'Italia. «È evidente come gli ultimi accadimenti che hanno toccato la Tunisia e la grave crisi politica che sta attraversando, dimostrano l'estrema fragilità degli assetti istituzionali nordafricani e quindi l'oggettiva difficoltà di mettere a regime misure efficaci di contenimento, che possono essere perseguite solo con il consenso politico e la piena collaborazione tecnica di quei contesti» dichiara Lamorgese in perfetto stile burocratico sugli arrivi dei migranti. Però garantisce che «nonostante l'attuale scenario, sto mantenendo diretti contatti con le autorità tunisine per le attività di prevenzione e contrasto dei flussi migratori irregolari». I tunisini sono già la prima nazionalità negli sbarchi con 5.852 arrivi da gennaio.

A lanciare un ulteriore allarme è il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho. In audizione al Comitato Schengen ha rivelato che negli arrivi dei migranti via mare sta «acquisendo sempre più spessore il canale proveniente dalla Tunisia. E proprio la Tunisia costituisce l'origine e la provenienza di soggetti a rischio sotto il profilo del terrorismo». De Raho ha ricordato che «l'attentatore di Nizza dell'ottobre 2020 è un soggetto che proveniva dalla Tunisia. Il 19 settembre del 2020 era giunto a Lampedusa, poi il 29 ottobre 2020 ha commesso l'attentato».

Ieri il capo dello Stato tunisino Saied ha presieduto una riunione con i vertici delle forze di sicurezza in vista del venerdì di preghiera. Per ora il partito islamista Ennahda, legato ai Fratelli musulmani, che aveva indicato il premier destituito e con il suo leader, Rachid Ghannouchi, presiede il Parlamento, ha rinunciato ad aizzare le piazze e le moschee. Il monito di Saied, che ha mobilitato l'esercito e prometteva «una pioggia di proiettili» in caso di disordini e rivolte, deve essere stato sufficiente. Ghannouchi sta cercando di mettere in piedi un «fronte nazionale» per chiedere «il ritorno a un sistema democratico». Ennahda propone, in maniera pretestuosa, elezioni anticipate sia parlamentari che presidenziali.

Saied non ha intenzione di fermare il repulisti nei gangli istituzionali. Dopo la rimozione dei ministri della Difesa e della Giustizia ha silurato per decreto una ventina di alti funzionari. Vittime della «purga»: il procuratore generale Tawfiq al Ayouni, che ha competenza anche sui militari, il segretario del governo Walid al Dhahabi, il capo di gabinetto Al Muizz e numerosi consiglieri del premier deposto Hichem Mechichi.

E non a caso è tornata alla ribalta un'inchiesta iniziata prima

del colpo di mano, che punta il dito su Ennahda e altri due partiti. Il portavoce dell'ufficio della procura finanziaria, Mohsen Daly, ha confermato che si indaga sui finanziamenti esteri e illeciti al movimento islamista.

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