«L'ho uccisa perché non voleva tornare con me. Ho ipotizzato di rapirla, toglierle la vita e poi suicidarmi»: Filippo Turetta, giudice e carnefice di Giulia Cecchettin, la donna che diceva di amare, ieri ha deposto in aula. L'imputato, con lo sguardo sempre basso, risponde alle domande per circa sei ore. Spiega come ha ucciso, con 75 coltellate, la ex fidanzata l'11 novembre del 2023. Nell'aula della Corte d'assise di Venezia c'è il papà di Giulia, Gino Cecchettin, che lui non guarda mai in faccia. «L'ho portata in un posto isolato - continua -, perché volevo stare insieme a lei il più possibile prima di toglierle la vita». Alla domanda sul perché ha fatto ciò che ha fatto, parla a fatica, ha lunghi silenzi, a tratti si asciuga le lacrime: «Volevo tornare insieme a lei... di questo soffrivo molto... provavo risentimento, rabbia... non so... In quel momento lì incolpavo lei di non riuscire a portare avanti la mia vita... volevo che il nostro destino fosse lo stesso...».
«Voglio raccontare tutto quello che è successo», dichiara il giovane appena si siede davanti alla Corte. Passerà oltre un'ora, prima che pronunci il nome «Giulia». Spiega: «Ho pensato di toglierle la vita». E al pm Andrea Petroni che gli chiede se compilando la lista del 7 novembre - con gli strumenti per legarla, lo scotch per ammutolirla, i coltelli - avesse già in mente il delitto: «Quella sera scrivendo quella lista ho ipotizzato questo piano, questa cosa, di stare un po' insieme e di farle del male». Turetta ammette la premeditazione fin qui negata. «Ero arrabbiato, avevo tanti pensieri, provavo un risentimento che avessimo ancora litigato, che fosse un bruttissimo periodo, che io volessi tornare insieme e così... in un certo senso mi faceva piacere scrivere questa lista per sfogarmi, ipotizzare questa lista che mi tranquillizzava, pensare che le cose potessero cambiare». Ancora: «Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata, così sarebbe stato possibile stare più tempo insieme e sarebbe stato più difficile trovarci, dopo inevitabilmente saremmo stati trovati. Poi aggredirla e togliere la vita a lei e poi a me...». I coltelli? «Li ho messi in auto in quella settimana, deve essere stato uno di quei giorni: mercoledì, giovedì o venerdì... I coltelli non li ho messi per suicidarmi, come ho detto nel primo interrogatorio, ma sempre al fine di eventualmente aggredirla».
Il 22enne ripercorre la lite con la donna, la prima aggressione nel parcheggio di Vigonovo (Padova), a 150 metri da casa Cecchettin, quella in auto: «Colpivo a caso», poi i fendenti mortali nell'area industriale di Fossó (Venezia) e la fuga in Germania. Aggiunge: «Forse non ha senso che io nascondessi il suo corpo» con sacchi neri. «Ma mi rendevo conto che aveva delle ferite, che era in cattive condizioni, condizioni terribili, volevo che non si vedesse perché le ferite... Sapere solo che lei non c'era più senza vedere come, perché ovviamente è un'immagine brutta...». Turetta piange ancora alle insistenti domande sul movente: «Pensavo di allungare un po' il tempo insieme... poi di toglierle la vita». E conclude: «È giusto espiare la colpa e provare a pagare per quello che ho fatto. Mi sento anche in colpa nel pensare al futuro, visto che lei non può più. Vorrei non aver fatto a lei questa cosa terribile, perché lei era una persona meravigliosa, aveva ancora affetto per me, mi ha trattato meglio che pensavo... In certi momenti vorrei chiedere scusa, ma in credo che sia ridicolo vista l'entità e l'ingiustizia che ho commesso. Le scuse sono inaccettabili e chiedere scusa sarebbe ridicolo e potrebbe creare ulteriore dolore per chi già prova dolore e sofferenza per quello che è successo. Vorrei evitarle e sparire... mi dispiace tantissimo».
L'imputato ha anche consegnato alla Corte un memoriale: «Non posso neanche immaginare - scrive - e rendermi pienamente conto del dolore e della sofferenza che prova la sua famiglia, suo padre, sua sorella e suo fratello e i suoi familiari». La sentenza è attesa per il 3 dicembre.
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